
Ritornare a seguire la volontà di Dio
Un giorno una parola – commento a Amos 6, 6 e Efesini 5, 18
Bevono il vino in ampie coppe e si ungono con gli oli più pregiati, ma non si addolorano per la rovina di Giuseppe
Amos 6, 6
Non ubriacatevi! Il vino porta alla dissolutezza. Ma siate ricolmi di Spirito
Efesini 5, 18
Ad una prima lettura i passi proposti oggi da Un giorno una parola sembrano parlare del vino e dell’abuso che taluni ne fanno. Il tono di Amos è severo e di condanna verso abitudini dissolute, che conducono a perdere di vista le cose importanti, così come sembra suggerirci anche l’epistola agli Efesini. In realtà, inseriti nei loro contesti entrambi i versetti vogliono trasmettere un significato ben diverso.
Nel primo caso, la condanna non è del vino in sé, ma dell’arroganza di questi uomini ricchi, indifferenti a tutto se non al proprio piacere, chiusi in una ricerca di benessere fine a se stessa. Il secondo testo, quello di Efesini, se letto nella sua interezza (5, 15-20), ci mostra i rischi che corriamo nelle nostre belle e opulente città. In entrambi i testi l’intento non è moralizzatore, il fulcro non è di migliorare i costumi e le abitudini del popolo di Dio, ma di aiutarlo a ritornare ad ascoltare e seguire la volontà del Signore.
E a noi, molti secoli dopo, questi testi parlano ancora? Descrivono la nostra realtà o possiamo archiviarli come troppo antichi? Se ci riflettiamo con onestà, non possiamo non riconoscere in questa severa descrizione anche la nostra società, ricca ma non generosa, arrogante e indifferente nei confronti di chi soffre, di chi vive ai margini delle nostre città o addirittura muore nel tentativo di raggiungerle. In effetti, si tratta di una condanna dura, secca, che ci colpisce proprio perché la ricca Europa manifesta sempre più questo distacco tra la Parola del Signore e la propria vita quotidiana.
Forse non ce ne rendiamo nemmeno conto, ma il nostro stile di vita ci allontana inesorabilmente da quello che Dio ci ha chiesto per bocca dei profeti e poi con l’insegnamento di Gesù, perché preferiamo non vedere il dolore delle vittime, aspiriamo a non sentire i pianti dei bambini sotto le bombe o ai margini delle nostre strade, desideriamo non avvicinare il dolore che il nostro stesso stile di vita provoca. E dunque viviamo proprio come ubriachi. Cioè siamo allegri, ma di una allegria indotta, inconsapevoli di tutto ciò che ci circonda, desiderosi solo di allontanare il “giorno del male”, del nostro male, ovviamente, ma inesorabilmente incamminati verso “il regno della violenza” (Amos 6,3), come ci dimostrano ogni giorno gli avvenimenti in Congo, in Burundi, in Sudan, in Palestina e Israele, in Ucraina e Russia, e in tanti altri Paesi del mondo.
Ma l’autore di Efesini non si limita al rimprovero, ci indica anche la strada per uscire da questa trappola nella quale il nostro peccato tende a condurci, e ci chiede di accettare di essere ricolmi di Spirito e ci sprona a vivere cantando e salmeggiando al Signore (Ef. 5, 18-19). Ricongiungendoci a Lui ritroveremo anche la capacità di separarci da questi giorni “malvagi” e tornare ad essere sale e luce del mondo. Amen!