Genova. Un’onda che porta cambiamento

Nel seminario organizzato dall’Ospedale evangelico insieme a Riforma, si è parlato di contrasto della violenza di genere

 

Un’intensa mattinata, quella organizzata mercoledì 20 marzo nella sala multimediale dell’Ospedale evangelico internazionale di Genova per iniziativa della sua presidente, Barbara Oliveri Caviglia, con il supporto e la partecipazione di Riforma – L’Eco delle valli valdesi: il direttore Alberto Corsani, in qualità di moderatore, e, come relatrici, Marta D’Auria (in collegamento da Napoli) e Sara E. Tourn.

 

L’incontro era pensato come momento di formazione accreditato per il personale dell’ospedale e per i giornalisti, ma frequentato anche da altri (membri di chiesa e interessati, in presenza e online) ed è stato interessante osservare come questi due ambiti, la cura medica e la comunicazione, si siano strettamente intrecciati. Si è infatti parlato molto di mass media, non solo negli interventi di taglio più giornalistico (è intervenuta da remoto Piera Egidi Bouchard, anche nell’ottica di attivista dell’Ywca, ricordandone la battaglia contro la prostituzione) ma pure in quelli di Francesco Cozzi, difensore civico della Regione Liguria (già Procuratore Capo di Genova), Maria Teresa Polverino, presidente della sezione regionale di Controllo della Corte dei Conti per la Liguria, Emanuela Abbatecola, docente di Sociologia del lavoro (Università di Genova). E anche nelle relazioni finali delle dottoresse Arianna Cosmelli (psicologa e psicoterapeuta dello sportello Finestra Rosa dell’Oei) e Manuela Caccioni (pedagogista, responsabile del Centro antiviolenza Mascherona con cui l’Oei collabora stabilmente), purtroppo un po’ penalizzate dai tempi, sono ritornate immagini e parole citate da chi le aveva precedute.

 

Titoli di giornali, spot pubblicitari, frasi e stereotipi ricorrenti, fotografie, un bagaglio che fa parte delle nostre vite quotidiane e di cui sono state evidenziate le storture, ma talmente interiorizzato che fatichiamo ad accorgercene e quindi ad agire per cambiare. Lo stesso si può dire, è stato notato, del linguaggio usato talvolta in ambito giudiziario, con domande imbarazzanti e totalmente fuori luogo, che a nessuno verrebbe in mente di porre a una vittima di un altro reato (“perché portava quell’orologio in vista, non ha pensato che avrebbe attirato un ladro?”).

 

Quindi «la parola, primo atto di cura», il titolo del seminario, si può intendere anche come immagine, raffigurazione visiva, che veicola molti messaggi sbagliati. La parola stessa deve quindi essere “curata”, nel senso di “accurata” ma anche di “guarita”, come hanno dimostrato tanti cattivi esempi.

Il tema della parola ne ha veicolati altri due complementari, ascolto e azione, e qui sono entrate in gioco le esperienze della rete che collega l’Ospedale, gli enti e le associazioni del territorio, le chiese protestanti. Un intreccio di cui il convegno è stato dimostrazione, con apprezzamento di alcuni relatori che hanno così conosciuto il collegamento tra opera sociale (l’ospedale) e chiesa.

 

Sono stati ricordati i progetti finanziati con l’otto per mille, le attività di sensibilizzazione, dalle panchine rosse nei luoghi pubblici al quaderno per i 16 giorni contro la violenza pubblicato ogni anno dalla Fdei e da Riforma.

Una parola chiave, citata dai relatori e dal moderatore del convegno, è stata empatia, tutt’altro che scontata sia nella professione medica sia (forse ancora meno) in quella giornalistica, che è invece il presupposto per un intervento rispettoso e proficuo. Una parola che deve essere comprensiva e onnicomprensiva, hanno sottolineato nei saluti introduttivi la moderatora della Tavola valdese Alessandra Trotta e la presidente Fdei Mirella Manocchio, che non deve rinchiudersi in un ambito specialistico, delegando l’ascolto a chi lo fa per mestiere. Ciascuno di noi è chiamato a mettersi in ascolto e, come ha invitato a fare il dott. Cozzi, a «fare parte di questa onda che cerca di portare un cambiamento e ribaltare la “cultura” purtroppo ancora ben radicata» del possesso, dell’estetizzazione della violenza, dell’oggettivazione del corpo femminile.

 

 

Foto di LD rossiOpera propria