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Carcere. La scrittura come strumento di scavo interiore

R come Rabbia, Rimpianto, Rimorso. Potrebbe essere… la sindrome della triplice R. Ma anche R come Riabilitazione, Rinnovellamento, Rinascita. Che cosa prova una persona in carcere? Prigioniera della colpa, la libertà perduta, le relazioni familiari troncate, le conseguenze del reato, con ogni probabilità a devastarti, poiché la coscienza è ineliminabile in ogni individuo – foss’anche per un residuo lumicino; e il tempo che muta in variabile impazzita: infinito e piatto e, nel contempo, un circolo chiuso come un loop senza senso, senza scopo. La detenzione per aver commesso un reato e la successiva sentenza privano l’individuo della libertà – e questa è la pena –: non della dignità né della possibilità del suo pieno recupero come cittadino, come soggetto sociale.

Perché non usare la scrittura come strumento di scavo interiore, di riacquisizione di consapevolezza, di inclusione sociale, di ripristino di un cammino esistenziale non più storto? Questa è l’idea veicolata dal Laboratorio di lettura e scrittura creativa attivo nel Carcere di Opera e fondato 28 anni or sono dalla poetessa Silvana Ceruti. Il Laboratorio, nell’ambito delle sue attività, produce ogni anno con i versi delle persone detenute un Calendario poetico-fotografico a tema: per il 2022 Aria. Acqua. Terra. Fuoco (prefazione di Elena Wullschleger Daldini e immagini di Margherita Lazzati).

Il Calendario rappresenta una riappropriazione virtuosa anche dei propri ricordi (altre “erre” virtuose) ma, oltre che specchio personale, è un osservatorio sul mondo esterno dal quale si è apparentemente esclusi, almeno dal punto di vista fisico (vi sono muri di cemento, ma anche muraglie di pregiudizi). Il pensiero e i sentimenti non possono tuttavia essere fermati da cemento e sbarre, e un tramonto ha sempre tutta la sua sconvolgente bellezza capace di impregnare pure l’anima di chi è in carcere.

Sono stato parte dell’universo/ Sono stato un atomo/ Sono stato terra/ Sono stato acqua/ Sono stato fuoco/ Sono stato luce/ Sono stato un germe/ Sono stato un albero/ Sono stato un animale/ Sono stato un uomo sapiente/ Sono stato un saggio/ Sono stato un uomo/ Sono stato un libero pensatore/ Sono stato membro di una cultura/ Sono stato un fuorilegge/ Sono stato vivo e libero/ Sono stato prigioniero di me stesso/ […] Sono stato un morto/ Sono ritornato alla terra/ Sono stato polvere/ Torno ad essere atomo/ Origine mai definita/ Sono invisibile/ Senza corpo/ Senza cuore/ Ma sempre parte dell’universo/ Scoprendo che è sempre stato in me. Questa poesia, opera di Filippo, apre il Calendario. Filippo è morto, ma ha lasciato con tali versi un testamento spirituale oltremodo commovente, un viatico di speranza per tutti. Nessun uomo è un’isola, è stato scritto. Quanto è vera quest’asserzione!

Ti prego, rondine benedetta, vola, sfreccia nei miei pensieri, non migrare più!/ Chiedimi tutto: sarò cieli esotici, equatoriali; sarò cibo che tu m’insegnerai; sarò trasparente per non incuriosirti, per non intimorirti./ Mi nasconderò in una lacrima di gioia, finta goccia di pioggia nella pioggia; lacrima di stupita emozione nel diadema di perle di rugiada, finta perla di rugiada sulla foglia vanitosa./ Costruisci il tuo nido nell’ombra delle mie malinconie e rallegrale del coro giocoso della tua prole preziosa. È la magnifica prosa lirica di Franco: uno sguardo libero, un sentimento panico, di rara suggestione, incantata meraviglia innanzi alla forza del Creato, della Natura, più grande di noi umani, che talora sembriamo voler uscire dal suo eterno ciclo.

Di tempo che è trascorso, di ricordi/ è pieno il vento/ con i passi dell’amore si avvicina/ e spira il vento/ […] Da qualche parte nasce, da qualche parte muore/ lo osservo e lo catturo in gabbie di pensiero/ lo saturo d’amore e te lo mando come falco messaggero. La chiusa è di Domenico, con il vento che soffia spingendo le caravelle delle nubi nel vasto cielo sotto cui soffriamo e gioiamo o fra le fronde degli alberi traendone impreviste note musicali, ciò che non dovrebbe far dimenticarci il dono della vita che ci è stato dato in sorte.