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Carcere. La scrittura, strumento per lo scavo interiore

28 anni fa nella casa di reclusione di Milano-Opera – la più grande delle 208 carceri italiane – la poetessa Silvana Ceruti fondò il Laboratorio di lettura e scrittura creativa ancora oggi attivo. Da 16 anni vi partecipa attivamente Alberto Figliolia, autore, giornalista pubblicista, già collaboratore di svariate testate e quotidiani nazionali.

«L’esperienza è iniziata per caso. Ero stato incaricato da un giornale con il quale collaboravo, di seguire in una libreria di Milano un’iniziativa del Laboratorio di lettura e scrittura creativa che già esisteva ad Opera da una dozzina di anni. Rimasi molto colpito dai contenuti e dall’atmosfera di quell’incontro. Dopo la pubblicazione del mio articolo, fui contattato dalla signora Silvana Ceruti, alla quale dissi che, come autore, avrei volentieri potuto dare un contributo al laboratorio. Così vi andai una prima volta. In quanto giornalista ero già entrato in un carcere, ma fui conquistato dalla capacità di ascolto dei volontari, dalla maniera di proporre la scrittura e la poesia ai detenuti. Vi tornai una seconda, e poi una terza volta. Da allora è cominciata la mia collaborazione che dura da sedici anni. Tanti incontri, tante cose nella vita accadono per caso e poi si rivelano molto fecondi per il proprio panorama esistenziale». 

– Cosa avviene durante il Laboratorio di scrittura e lettura creativa?

«Ci incontriamo ogni sabato e durante i nostri incontri ascoltiamo quello che i detenuti hanno scritto durante la settimana, o anche scritti e poesie che noi autori proponiamo; facciamo esercizi di scrittura utilizzando varie metodologie; poi, dopo aver raccogliamo il materiale particolarmente riuscito dal punto di vista formale, produciamo delle antologie con un editore di riferimento che ha sposato il progetto. Sono stati pubblicati due libri di poesie in forma di preghiera, e ogni anno realizziamo un Calendario poetico-fotografico a tema: per il 2022 Aria. Acqua. Terra. Fuoco (prefazione di Elena Wullschleger Daldini e immagini di Margherita Lazzati). Il Calendario rappresenta una riappropriazione virtuosa anche dei propri ricordi, ma, oltre che specchio personale, è un osservatorio sul mondo esterno dal quale si è apparentemente esclusi, almeno dal punto di vista fisico (vi sono muri di cemento, ma anche muraglie di pregiudizi). Il pensiero e i sentimenti non possono tuttavia essere fermati da cemento e sbarre, e un tramonto ha sempre tutta la sua sconvolgente bellezza capace di impregnare pure l’anima di chi è in carcere. È una grande soddisfazione per i detenuti vedersi pubblicati – lo sarebbe per chiunque! –, traspare in loro la sensazione di aver combinato qualcosa di buono e di bello: in una vita magari storta, finita dentro, allontanati dalla società, scoprono di riuscire a scrivere qualcosa che può arrivare al cuore anche di chi è fuori. La scrittura ha la doppia funzione etica ed estetica. Nel laboratorio cerchiamo di insegnare in maniera orizzontale, democratica, di incentivare anche la lettura. Attraverso la scrittura e la lettura i detenuti vivono scampoli di felicità, c’è un recupero di consapevolezza che è veramente importante».

– Quali frutti quest’esperienza ha portato nella sua vita?

«La partecipazione al laboratorio è stata per me fondamentale: mi ha dato una visione più ampia dei fatti e dell’essere umano. Trovarsi in una realtà così dura, pesante per chi la deve vivere o subire, ti costringe a riconsiderare le cose della vita sotto un’ottica diversa, e a capire che ci può essere un’altra via, che per un cristiano può essere il perdono, e che laicamente è il tentativo di restituire alla società queste vite che hanno spezzato vite, relazioni, ma sono state anche spezzate, avendo il reato conseguenze sugli altri ma anche su se stessi. La scrittura allora può essere un grande strumento per lo scavo interiore, per recuperare parti di sé, per rielaborare i sentimenti negativi, distruttivi, o autodistruttivi, per riacquisire consapevolezza, per ripristinare un cammino esistenziale non più storto. Tutto è anche patrimonio degli insegnanti volontari perché quello che avviene durante il Laboratorio è un flusso non univoco ma reciproco che ti consente di avere uno sguardo forse un po’ più acuto sulla realtà, dove non è sempre netta la distinzione tra ciò che è bene e ciò che male, ma dove ci sono le persone con la loro dignità, con il loro vissuto, con i loro errori, persone che possono imparare dai propri errori, non si passa infatti indenni attraverso questo corridoio di dolore che è il carcere. Come essere umano sei costretto a confrontarti con questo universo di sofferenza e impari a sviluppare una vista diversa sulle cose del mondo, impari a discernere, o comunque ad alimentare dubbi, che possono essere fecondi. È importante continuare a porsi domande, soprattutto quando l’opinione pubblica ha risposte facili, preconfezionate, dettate dalle mode o dagli impulsi di pancia. Nelle attività che organizziamo nell’ambito del laboratorio, cerchiamo anche di sondare i pregiudizi che albergano in tanti sulla condizione carceraria e sulle persone che sono recluse. È un’esperienza forte, impegnativa, di responsabilità, che ti succhia anche tante energie dal punto di vista emotivo, ma che è anche estremamente arricchente dal punto di vista umano».