Strage di Bologna, in appello condannato all’ergastolo l’ex Avanguardia Nazionale Bellini

Importantissima sentenza per continuare a ricostruire la verità su uno dei più gravi episodi di violenza dell’Italia repubblicana

 

Paolo Bellini, ex di Avanguardia Nazionale, è stato condannato, confermando la sentenza in primo grado, all’ergastolo, per concorso nella strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. La Corte d’assise d’Appello di Bologna, presieduta dal giudice Alberto Pederiali, ha emesso la sentenza dopo sei ore di Camera di consiglio.

 

Confermate le pene anche per gli altri due imputati di questo ennesimo processo legato al più terribile attentato compiuto su suolo italiano nel dopo guerra:  l’ex capitano dei carabinieri, Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio e condannato a 6 anni, e l’ex amministratore di condomini in via Gradoli, a Roma, Domenico Catracchia, condannato a 4 anni per false informazioni al pm.

 

Prima dunque era stato il turno di Valerio FioravantiFrancesca Mambro e Luigi Ciavardini, gli ex dei Nuclei Armati Rivoluzionari condannati all’ergastolo tra la fine degli anni Novanta e il 2007. Poi di Gilberto Cavallini, il “quarto uomo”, già condannato in appello nel 2023 e per il quale dunque manca solo il sigillo della Cassazione.

 

Ci facciamo aiutare dal grande lavoro del portale “Rete degli archivi per non dimenticare” per tracciare i punti essenziali di questa specifica vicenda legata al 2 agosto 1980, vicenda che ha del clamoroso e che sta contribuendo a riscrivere parte della storia dell’Italia repubblicana.

 

Il lavoro certosino dei consulenti dell’associazione dei famigliari delle vittime della strage nell’ultimo decennio sulle copie digitalizzate degli atti dei processi ha fatto emergere elementi di enorme interesse. In particolare, dall’incartamento del processo celebrato al Milano per il crack del Banco Ambrosiano del piduista Roberto Calvi, riaffiora il cosiddetto documento Bologna, un foglio che reca nell’intestazione il nome della città e un numero di conto bancario, che insieme a un altro appunto di Licio Gelli, relativo a cospicui movimenti di denaro prima della strage, per tramite di tale “M. C.” (identificato in Mario Ceruti, factotum di Gelli e suo “cassiere” in Svizzera, stando alla Commissione P2), per un totale di ben 5 milioni di dollari, è il punto di partenza di una nuova istruttoria, condotta dalla Procura Generale di Bologna (dopo che la locale Procura della Repubblica aveva chiesto l’archiviazione): la cosiddetta inchiesta sui mandanti.

 

La denominazione è suggestiva, ma non ci sarà nessun potenziale mandante alla sbarra: il procedimento, nel valutare le responsabilità degli imputati (un altro possibile esecutore materiale e nuovi depistatori), rivaluterà alla luce dei nuovi elementi il ruolo di Gelli e altre figure di vertice della P2 come Umberto Ortolani e Federico Umberto D’Amato in veste di possibili finanziatori e ispiratori della strage e dei relativi depistaggi, per i quali è chiamato in causa anche il giornalista Mario Tedeschi, purtroppo tutti deceduti.

 

Il principale imputato del nuovo processo è Paolo Bellini, accusato di strage (in concorso con i NAR già condannati e con Gelli, Ortolani e D’Amato). Nato e cresciuto a Reggio Emilia, legato alla destra di Avanguardia Nazionale, reo confesso per l’omicidio del militante di sinistra Alceste Campanile nel 1975, a lungo latitante in Brasile sotto falso nome, rientra poi in Italia per acquisire i brevetti da pilota, oltre a dedicarsi a fiorenti traffici illegali di mobili antichi e opere d’arte. Diventa poi un killer di ‘ndrangheta e, detenuto in carcere con un boss mafioso, è tra gli attori di un filone parallelo della trattativa Stato-mafia, e infine diventa collaboratore di giustizia.

 

Era stato già indagato per la strage: la Procura Generale ha revocato il suo proscioglimento del 28 aprile 1992 a seguito dell’esibizione di un video amatoriale girato la mattina del 2 agosto alla stazione, da cui risulterebbe presente sulla banchina del primo binario poco prima dell’esplosione. Lo ha identificato la sua ex moglie, facendo venir meno il suo vecchio alibi («ci ha usati», pare abbia detto la donna in un’intercettazione).

Ad aggravare la posizione di Bellini ci sono i rapporti documentati con Sergio Picciafuoco, sicuramente presente alla stazione il 2 agosto, e un’intercettazione ambientale del gennaio 1996, in cui Carlo Maria Maggi (reggente di Ordine nuovo in Veneto, condannato per la Strage di Brescia) dice che la Strage di Bologna «l’hanno fatta loro» riferendosi ai NAR di Fioravanti, e fa riferimento a un «aviere» (ricordiamo la passione per il volo e il brevetto da pilota di Bellini) di cui «dicono che portava una bomba».

 

Il generale Quintino Spella era stato rinviato a giudizio per depistaggio (art. 375 del Codice penale, introdotto nel 2016 grazie a una battaglia condotta in primis dal Presidente dell’associazione delle vittime del 2 agosto, Paolo Bolognesi), ma è morto nel gennaio 2021, ultranovantenne. Nel 1980 era capocentro del SISDE a Padova; il magistrato di sorveglianza Giovanni Tamburino, su indicazione dei Carabinieri, lo aveva allertato in relazione all’allarme lanciato da Vettore Presilio prima della strage. Spella negava tutto: ammetterlo, d’altra parte, avrebbe dovuto dire dar conto dell’inerzia e delle omissioni dell’epoca, per questo gli era stato contestato il depistaggio.

 

Per lo stesso reato è sotto processo l’allora Capitano dei Carabinieri Piergiorgio Segatel: è accusato di aver mentito, poiché nega di aver interpellato, in prossimità della strage, la moglie di un membro di Ordine nuovo, proprio per cercare notizie sul colossale attentato di cui si parlava negli ambienti di estrema destra, di cui aveva riferito Presilio.

 

Domenico Catracchia, infine, è imputato per falsa testimonianza a pubblico ufficiale. All’epoca dei fatti, era titolare dell’agenzia che amministrava un immobile in via Gradoli, a Roma, di cui – stando all’atto d’accusa – il SISDE si serviva abitualmente. Le parti civili e la Procura Generale di Bologna hanno infatti accertato che nel 1981 i NAR avevano ben due covi in via Gradoli, ai numeri civici 65 e 96. E quello al civico 96 si trovava nella stessa unità immobiliare in cui aveva vissuto il capo delle BR Mario Moretti durante il sequestro Moro, nel 1978, e l’appartamento era riconducibile a una società collegata ai servizi segreti.

 

Secondo l’ipotesi accusatoria del primo processo e ora anche del secondo processo, la Strage di Bologna era stata organizzata dai vertici dell’eversione di destra “storica”, a Roma e in Veneto, ai quali facevano riferimento le nuove leve di giovanissimi; un reticolo criminale facente capo, a sua volta, alla Loggia P2, dunque protetto e tutelato dalle forze di sicurezza, i cui massimi vertici erano affiliati alla Loggia di Gelli.

 

La P2 sarebbe stata l’attore politico-criminale responsabile non solo dei depistaggi, ma della regia e dell’uso politico della strage, mentre Fioravanti e i NAR sarebbero serviti da “killer della P2” (lo sospettava anche Cristiano Fioravanti, fratello di Giusva, e lo disse al Giudice Falcone).

L’ipotesi, all’epoca, non trovò conferme sufficienti in sede di giudizio, anche a causa del ciclone di depistaggi che devastò l’istruttoria. Quarant’anni dopo, però, il processo Cavallini e l’inchiesta sui mandanti hanno portato alla luce elementi nuovi che riprendono, confermano e approfondiscono molti sentieri interrotti del primo processo, collegandoli tra loro, a disegnare un quadro che consente di rivalutarne il valore e il significato.

 

Il 6 aprile 2022 la Corte di Assise di Bologna ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini, l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio, a sei anni, e Domenico Catracchia, ex amministratore di condomini in via Gradoli a Roma, accusato di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini, a quattro anni. Ora la conferma dell’appello.