Tra Rimini e Riesi

Storie di pedagogie ancora oggi moderne, nate dalla necessità, di scuole fondate per (ri)costruire l’Italia dopo la guerra, e dei loro sorprendenti intrecci. Intervista a Letizia Soriano

 

Un’insegnante di Rimini, una scuola di Riesi, un progetto per gli orfani di guerra: che cosa lega questi tre soggetti?

Partiamo dal primo: Letizia Soriano, insegnante da più di vent’anni interessata alle scuole sperimentali e particolari, qualche anno fa s’incuriosisce sulla storia e la fede valdese: «per approfondire ho visto il film-documentario Una storia valdese di Salvo Cuccia e Gustavo Alabiso (qui l’intervista al regista Salvo Cuccia in occasione dell’uscita del film sulla piattaforma Netflix nel marzo 2022, nda), scoprendo che parlava soprattutto di scuola…».

 

La scuola in questione, secondo soggetto di questa storia, è quella del Servizio cristiano di Riesi (Cl), fondata dal pastore Tullio Vinay: il racconto parte dalla ricerca fatta da Alabiso, decenni dopo aver lasciato il Monte degli Ulivi, dei suoi compagni di classe, molti dei quali emigrati all’estero come lui.

Nel film, Letizia Soriano riconosce un aspetto che un “profano” forse non coglierebbe. «Il filmato è montato in modo particolare e interessante, alternando parti di “girato” attuale e filmati d’epoca, in cui, tra le altre cose, gli scolari raccontano che cosa fanno. L’ho riguardato, volutamente, almeno cinque volte, e ho visto che si trattava di una scuola non tradizionale, con molti momenti di scambio “democratico”, lavoro artistico, ho visto un piccolo complesso tipografico (ed è ciò che mi ha “solleticato”), i banchi disposti in un certo modo… Insomma: ho intravisto qualcosa di molto vicino alle “tecniche Freinet”, che ho sperimentato per tanti anni alla Scuola del Ceis, Centro educativo italo-svizzero di Rimini, dove l’“educazione attiva” è applicata ancora oggi: “i bambini imparano facendo”, secondo la definizione classica».

 

Ecco il terzo tassello della nostra storia. Fondata dalla pedagogista svizzera Margherita Zoebeli nel 1946, ha un’origine molto interessante, ci racconta ancora Letizia Soriano (sul blog dell’editore Topipittori un suo articolo dedicato): «La scuola era nata come servizio pubblico alla città, rasa al suolo dai bombardamenti. Zoebeli era arrivata da Zurigo con una delegazione del Soccorso operaio tramite il sindaco, socialista, che si era messo in contatto con la delegazione socialista svizzera di cui faceva parte Margherita. Con pannelli di legno si creano delle casette che inizialmente ospitano i bagni pubblici, poi, sempre dalla Svizzera, arrivano i “pacchi mobili”, piccoli armadi che contengono due reti metalliche, un tavolo, quattro sgabelli, qualche pentola e dei piatti: l’essenziale perché famiglie che avevano perso tutto possano ricominciare». Zoebeli vede che la città è piena di orfani, quindi con queste strutture baraccate crea un primo orfanotrofio, poi un asilo, da lì la scuola elementare: «Un luogo importante, perché al suo interno c’è stata per anni anche una struttura residenziale per bambini con disabilità gravissime, di cui le famiglie non potevano occuparsi».

 

Emozionante, ricorda Letizia Soriano, è che gli “armadi” sono stati conservati e contengono ancora i materiali scolastici in uso ai bambini, che in quinta studiano la storia della scuola. Ma anche le strutture in legno sono rimaste, disposte in modo che si crei una sorta di piazza in cui i bambini possono giocare liberamente, nel verde. Questo, spiega Letizia, corrisponde all’idea di Freinet di una scuola che il bambino deve percepire come qualcosa che gli appartiene, che sente vicino, senza timori. Da qui una serie di attività che si trovano anche nel film Una storia valdese: il lavoro a maglia, l’orto, le galline, i bambini che si occupano dei pasti e tengono puliti gli ambienti… Per fugare il dubbio che questo parallelo sia una sua proiezione, Letizia, grazie al prezioso aiuto di Gustavo Alabiso, contatta una sua maestra svizzera; si chiama Helene, e conferma che prima di arrivare al Monte degli Ulivi aveva seguito la formazione Freinet e Montessori e conosceva bene il lavoro di Margherita Zoebeli. Non solo: avrebbe voluto lavorare proprio al Ceis, ma “i casi della vita” l’avevano poi portata a Riesi…

 

Il cerchio di chiude: lo scambio con Helene conferma la tesi di Letizia Soriano, ed è motivo di ulteriore emozione per i ricordi che la donna ormai anziana porta ancora con sé, di quel lontano periodo in Sicilia. Un ulteriore tassello al lavoro di costruzione di una memoria collettiva, attraverso i ricordi propri e altrui, che Soriano ha apprezzato nel lavoro di ricerca compiuto da Alabiso.

Le due esperienze di Rimini e Riesi sono collegate da un filo ulteriore, l’aspetto sociale: chi le ha fondate si è confrontato con un’estrema povertà, osserva, «si è fatto carico di questi bisogni, lanciandosi, come Margherita Zoebeli, ancora giovanissima, in un’impresa in cui non si era mai cimentata» in un contesto sociale difficile (l’eredità sociale di quell’iniziativa si ritrova anche nell’organizzazione EducAid, impegnata nella cooperazione internazionale in tante aree del mondo, tra cui la Palestina: vedi qui l’intervista di Claudio Geymonat al direttore Riccardo Sirri all’indomani del 7 ottobre 2023, nda). Analogamente a quanto fa Vinay a Riesi, in una società che, peraltro, entra nel film attraverso i ricordi degli ex allievi e dello stesso Alabiso.

 

Tutto questo con una pedagogia molto moderna ancora oggi, e che, malgrado un pregiudizio che la considera una scuola di élite, in realtà nasce proprio da situazioni di emergenza, nota Soriano: Freinet era tornato dalla guerra con gravissimi problemi polmonari e trovandosi a insegnare praticamente senza voce, ha dovuto inventarsi un modo diverso dalla classica lezione frontale, più interattivo. «Disporre banchi e sedie in un certo modo, lavorare su quello che i bambini portano a scuola, e non solo sui libri, sono cose che si possono fare ovunque. Da una contingenza difficile nasce una pedagogia universale, che si può realizzare anche nei luoghi più sfortunati».

Una preziosa lezione di apertura del proprio sguardo, conclude Letizia Soriano (sul blog dell’editore Topipittori il suo commento a cinque film dedicati a un modo diverso di fare scuola, tra cui appunto il documentario di Salvo Cuccia), che è «l’aspetto più interessante di Una storia valdese, pensando a chi lavora nella scuola e alla direzione che questa sta prendendo…».

 Ecco l’audio dell’intervista:

 

 

Foto di Giuseppina Bagnato