L’eresia come motore culturale
Un volume collettivo, curato da Marina Benedetti, ci dà un’immagine complessa del panorama religioso medievale
Il volume curato da Marina Benedetti su eretici ed eretiche medievali* è articolato in quattro sezioni, ognuna delle quali rappresenta una chiave di lettura del periodo storico considerato: «Una identità molteplice», «Silenzio delle e sulle donne», «Eresia come moto di cultura», «Interpretazioni». Si evocano, come sottolinea il titolo, vite di eretici ed eretiche, persone che, tuttavia, non si sono autodefinite tali, ma così sono state bollate. Lo sono diventate senza volerlo, anche se eresia in greco significa scelta. Ed è un termine che, nel tempo, ha assunto vari significati, per lo più di disvalore. Oggi Heresis è addirittura un marchio di abbigliamento. Si deve, dunque, fare sempre distinzione fra identità considerata propria e identità attribuita, fra libri scritti dagli eretici e documenti prodotti dai loro avversari, una tensione dentro la quale si è dipanata la storia delle eresie dal XII al XV secolo. Si tratta di una identità molteplice, di movimenti e di personalità singole.
Fra i primi, l’elenco è copioso: patarini, arnaldisti, valdesi alpini, catari italiani e di Linguadoca, beghine, lollardi, hussiti, templari e modernisti…Fra le seconde: Arnaldo da Brescia, Gugliema, Dolcino, Margherita detta Porète, Giovanna d’Arco – per non dirne che alcuni. La ricostruzione di questa galassia eretica, fra la frammentarietà del suo mondo da un lato e la sopravvivenza di frammenti documentari dall’altro, non è facile. È il caso di Guglielma, arrivata a Milano agli inizi degli anni Sessanta del XIII secolo, creduta figlia del re di Boemia, i cui quaderni furono trovati dal monaco certosino Matteo Valerio nella bottega di un droghiere, certo un luogo dove non si conserva di solito la documentazione dei processi inquisitoriali! Anche se i droghieri erano i cartolai dell’epoca perché vendevano materiali di scrittura come le pergamene da riutilizzare.
L’inseguimento di frammenti si fa ancora più intenso con le donne. Per scovarle, dice Marina Benedetti, si deve «profanare il silenzio». Tacere però non significa non esistere. Anche in questi secoli le troviamo descritte nella loro coralità. È il caso delle beghine, donne girovaghe, vestite con un saio grigio, che non sceglievano il monastero, ma la precarietà di un volontariato religioso, dai lebbrosari all’assistenza ai poveri. Fu un movimento composito che rispose a uno squilibrio demografico con eccedenza di popolazione femminile rispetto agli sbocchi ordinari ritenuti obbligatori per una donna, ossia matrimonio o monacazione. Si diffuse in tutta Europa, mentre una figura divenne il suo simbolo: Margherita detta Porète, una dotta beghina bruciata sul rogo a Parigi il 1° giugno 1310, colpevole di aver divulgato il suo libro Specchio delle anime semplici. Colpisce la sua sicurezza di valere qualcosa non per sé stessa ma come strumento di Dio che la incita a insegnare sia alle anime smarrite sia ai teologi e chierici incapaci di andare oltre l’argomentare scolastico ossia della filosofia scolastica.
L’eresia come moto di cultura è un’altra chiave interessante di lettura. La definizione di Gioacchino Volpe data all’intorno di Valdo di Lione, denota una «reazione a catena del pensiero» perché le persone iniziano a scendere nelle loro coscienze per verificare se la realtà religiosa è coerente con quanto predicato. Sono movimenti che, pur partendo da domande di fede, generano gesti culturali. A tal proposito, è interessante la lettura di Benedetti sui barba valdesi che «fanno entrare i piccoli libri in dimore semplici e verosimilmente povere, li appoggiano sul tavolo, alla portata di tutti, come un oggetto domestico e quotidiano: da vedere e da toccare quando, dopo cena, la famiglia riunita, con amici e vicini fidati, sente delle parole e ne ascolta il significato». L’esperienza spirituale è anche materiale: si tocca il testo sacro. E quando se ne vanno, i barbalasciano in regalo degli aghi, segno della loro professione (mascherata) di merciai e pegno di riconoscenza. Infine, un caso poco conosciuto: Mussolini, nel suo passato socialista, scrisse una biografia su Giovanni Hus il Veridico. Stava di certo attraversando una fase anticlericale, ben diversa dal 1929, anno della firma del Concordato con la Chiesa cattolica. Nella prefazione scrisse: «Consegnando questo libretto alle stampe, formulo l’augurio ch’esso susciti nell’animo dei lettori l’odio per qualunque forma di tirannia spirituale e profana, sia essa teocratica o giacobina»!
In conclusione, possiamo stabilire alcuni punti fermi: le eresie non aspiravano a diventare istituzionalizzate. L’idea che accomunava uomini e donne era il voler imitare il Gesù dei Vangeli, un afflato che percorse l’Europa sin dal XII secolo. La politica della chiesa-impero ravvisò il pericolo di questa spontaneità troppo democratica e iniziò a stabilire confini fra ortodossia, eresia e santità, dimensioni che dovevano restare sotto il suo controllo.
* M. Benedetti (a cura di), Eretiche ed eretici medievali. La “disobbedienza” religiosa nei secoli XII-XV. Roma, Carocci, 2023, pp. 416, euro 39,00.
Foto: interno di un convento di beghine del XIX secolo, Museo del Beghinaggio (Musée du Béguinage’) di Turnhout, Belgio