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Visita in Italia del Consiglio ecumenico delle chiese

Unità dei cristiani, situazione Ucraina, giustizia climatica, migranti e rifugiati sono fra i temi che una delegazione del vertice del Consiglio ecumenico della chiese (Cec) ha affrontato incontrando alcuni rappresentanti delle chiese evangeliche in Italia (il pastore Daniele Garrone, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia – Fcei; Paolo Naso, referente per le relazioni istituzionali del progetto Mediterranean Hope (MH); il pastore valdese Luca Baratto, segretario esecutivo della Fcei; Marta Bernardini, coordinatrice del programma migranti e rifugiati, Mediterranean Hope, il pastore valdese Michel Charbonnier, membro del Comitato centrale del Cec, e il pastore Giuseppe Miglio, vicepresidente dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi).

La delegazione del Cec era formata dal vescovo Heinrich Bedford-Strohm, moderatore del Comitato centrale, dal pastore Jerry Pillay, insediato a febbraio come nono segretario generale, e da Vasile-Octavian Mihoc, responsabile del Cec per le relazioni ecumeniche. Ne parliamo con il pastore Charbonnier.

«Periodicamente – ci dice – una delegazione del Cec incontra il papa, e così è avvenuto anche questa volta: un elemento diverso, tuttavia, è che i vertici del Cec stesso, a seguito della pandemia, si trovano ora all’inizio del loro mandato; inoltre da poco si era svolta l’Assemblea, dopo tanti anni in Europa. Un’Assemblea che non è riuscita a dire tutto ciò che sarebbe stato necessario su temi come le migrazioni e la secolarizzazione: le chiese europee sembrano non accorgersi che il centro del cristianesimo oggi risiede altrove. Il papa, che viene da un altro continente, ne è ben consapevole come è consapevole dell’importanza dell’ecumenismo – recentemente è stato a Ginevra proprio a visitare il Cec».

– I temi sono rilevantissimi: che ruolo ha il Cec nella loro gestione?
«È un ruolo non banale e non notarile, uno “spazio aperto di discussione”: costi quel che costi, rimaniamo al tavolo, teniamo aperto il dialogo. Sulla guerra in Ucraina ci sono Chiese che chiedono l’espulsione o sospensione della Chiesa ortodossa russa dal Cec, e ci sono rappresentanti dei due paesi in guerra che vorrebbero evitare di sedere allo stesso tavolo con gli altri. Dall’inizio del conflitto il Cec ha chiarito che il suo ruolo non consiste nel cacciare nessuno, ma nell’essere piuttosto un luogo in cui si discute, in cui si dialoga ostinatamente alla ricerca della riconciliazione – il che non significa che non si possa dire al proprio fratello che sta sbagliando. E di spazi di dialogo e di riconciliazione c’è bisogno non solo in Ucraina, ma anche su tanti altri fronti».

– Un altro tema affrontato è quello dei corridoi umanitari…
«Heinrich Bedford-Strohm, già, come presidente della Chiesa evangelica in Germania – Ekd era venuto a trovarci a Lampedusa, aveva interloquito con la Fcei, ed è bene a conoscenza dell’operazione – il che è senz’altro positivo, perché le chiese italiane da tempo avevano chiesto una parola forte da parte del Cec sulla questione delle migrazioni nel Mediterraneo, senza riuscirvi. Nell’ultimo anno però, dopo una visita fatta a Lampedusa, il Consiglio ha preso piena coscienza del problema, e ora con la guida di Bedford-Strohm l’auspicio è che l’impegno del Cec aumenti. Il presidente Garrone ha ribadito che i corridoi umanitari non possono coprire le mancate iniziative degli Stati e dell’Unione europea, e abbiamo sostenuto l’importanza che a livello internazionale il Cec possa contribuire a suscitare attenzione sulla “questione mediterranea”, senza alimentare il populismo.

– Non cessa di essere attuale l’allarme su populismo e razzismo: quale collaborazione è possibile fra Chiese?
«Come rappresentanti delle chiese evangeliche italiane abbiamo spiegato che anche nel nostro contesto verifichiamo un aumento di populismo, razzismo e xenofobia. Abbiamo ricordato che nel settembre 2018 si era tenuta un’importante conferenza, organizzata a Roma insieme al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale e al Dicastero (allora Pontificio Consiglio) per la Promozione dell’Unità dei cristiani, per riflettere e cercare risposte coerenti e realistiche rispetto alla crescita di episodi di xenofobia, razzismo e nazionalismo nel contesto delle migrazioni globali, e indicare come le chiese possano, attraverso nuove pratiche, contrastare questi fenomeni. Da allora la situazione non è certo migliorata, anzi: allora sarebbe utile che qualcuno a livello internazionale e globale coordinasse le strategie di impegno dei soggetti e delle Chiese coinvolti. Che cosa possiamo fare nello spirito di quell’incontro del 2018? Un impegno che è stato ritenuto importante dalla delegazione».

– L’attualità permea dunque costantemente il lavoro del Cec…
«Il Cec lavora su un enorme insieme di temi e progetti concreti, dalla giustizia di genere alla giustizia economica, dalla salvaguardia del Creato al diritto all’acqua, dai progetti di pace in Palestina e Israele ai diritti dei popoli apolidi. Nel fare tutto ciò, resta naturalmente un organismo ecumenico, ed è dunque particolarmente prezioso che riesca a fare tutto ciò nonostante le diverse vedute che contraddistinguono le sue chiese membro. Il lavoro che si fa sulla giustizia di genere, per esempio, deve tenere conto delle distanze che ci separano dal mondo ortodosso. In questo sforzo il Cec deve sostenere le chiese che fanno capo a lui, ma noi dobbiamo sostenere il Cec: va salvaguardato e rafforzato questo suo carattere di spazio di discussione, un luogo in cui, nonostante tutto, si continua a rimanere allo stesso tavolo, in cui continuiamo a riconoscerci come fratelli e come sorelle anche trovandoci, a volte, in profondo disaccordo, che si tratti di Ucraina o di etica sessuale. Tenere insieme il tutto, parlando di tutti questi argomenti è sempre più difficile in quest’epoca in cui si tende agli schieramenti contrapposti, alle “tifoserie”, ma finora il Cec ci è riuscito, è la sua vocazione».


Foto Nen