Disturbo mentale e giovani generazioni

Ansia, attacchi di panico, tristezza e “strani pensieri” percorrono l’universo giovanile: a colloquio con Laura de Caprariis, responsabile del Centro di Salute mentale 28 dell’Asl Napoli1

 

Secondo dati recenti dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), i disturbi mentali sono la principale causa di disabilità tra i giovani di età compresa tra i 10 e i 24 anni. Si stima che oltre il 20% dei giovani in tutto il mondo possa soffrire di un qualche tipo di disturbo mentale, che va dalla depressione all’ansia, al disturbo bipolare fino ai disturbi del comportamento alimentare. In Italia, la situazione non è migliore. Secondo l’Istituto superiore di Sanità (Iss), circa il 15% dei giovani italiani ha avuto o avrà problemi di salute mentale entro i 18 anni.

 

A fronte di questi dati preoccupanti si registra una crescente domanda di accesso ai servizi di salute mentale da parte dei giovani. Ne parliamo con la psichiatra e psicoanalista, e Analista membro della Scuola (AME) dell’Epfcl (Scuola di psicoanalisi dei Forum del Campo lacaniano) Laura de Caprariis, che ricopre il ruolo di responsabile del Centro di Salute mentale 28 dell’Asl Napoli1.

 

– Dal suo punto di osservazione, conferma che è cresciuto il numero di giovani che si rivolgono al servizio di salute mentale? Chi sono i giovani che vengono a chiedere aiuto?

«Sì, è un dato che posso confermare. Negli ultimi tempi abbiamo registrato un incremento delle domande di aiuto da parte dei giovani. Il mio lavoro insiste su un’area della città che comprende il quartiere periferico di Scampia che, tra l’altro, ha una popolazione giovanile mediamente più alta di altri quartieri di Napoli. Il Centro di Salute mentale dovrebbe erogare le sue prestazioni a utenti dai 18 anni in su ma, nell’ultimo periodo, accoglie richieste a partire dai 17 anni, proprio in considerazione dell’aumento di domande da parte di giovani che frequentano ancora le scuole. Ci sono poi i giovani che hanno terminato il percorso scolastico e si trovano ad affrontare le difficoltà di inserimento nel mondo universitario o lavorativo insieme al distacco dai compagni di scuola, situazioni che, in assenza di salde risorse psichiche e ambientali, possono aprire a una solitudine che sconfina nel ritiro sociale e nell’isolamento. Le domande arrivano più frequentemente, ma non esclusivamente, dalla popolazione femminile che sembra essere generalmente più incline alla richiesta di aiuto».

 

– Quali sono le manifestazioni più comuni del disagio avvertito dai giovani?

«I giovani chiedono aiuto per l’ansia, per gli attacchi di panico, perché si sentono tristi, perché si sentono attratti dallo stesso sesso e temono di dirlo in famiglia oppure perché non sanno da chi sono attratti, perché “si tagliano”, perché non riescono a fare amicizia e trascorrono molto tempo sui social, perché si sentono aggressivi, perché dormono male, perché hanno degli “strani pensieri” e non si sentono più gli stessi o perché presentano disturbi comportamentali da uso di sostanze o disturbi alimentari. Queste manifestazioni di malessere possono essere l’espressione di un momento di crisi adolescenziale oppure l’esordio di un disturbo propriamente psichiatrico. Un ascolto attento e tempestivo può pertanto essere risolutivo in tempi relativamente brevi nel primo caso o consentire di intervenire precocemente nel caso dei disturbi più gravi».

 

– Quali possono essere i fattori scatenanti dell’aumento del disagio mentale giovanile?

«Un fattore certamente rilevante, sperimentato in diverso modo da ciascuno di noi, è stato quello determinato dalla recente emergenza Covid. Le restrizioni imposte dal lockdown, con la sospensione improvvisa della vita sociale, hanno avuto un impatto drammatico specie sugli adolescenti, che si sono trovati privati di quel tempo che noi adulti evochiamo spesso con nostalgia, il tempo delle prime esperienze di amicizia e di amore, felici o meno felici, ma certamente formatrici. La pandemia, comunque, a mio parere, ha solo scoperchiato dei processi insidiosi connessi alla nostra contemporaneità connotata dalla precarietà e dall’incertezza, da stili di godimento per i quali ogni mancanza viene coperta illusoriamente da oggetti di consumo a scapito della ricerca di relazioni. La mancanza, ben esperita, ci spingerebbe invece alla ricerca di rapporti autentici improntati alla gratuità. Un altro fattore importante è l’uso mal gestito dei social di cui i giovani sono i principali fruitori. Le possibilità introdotte dal mondo dei social giocano un doppio ruolo: da una parte sembrano favorire le relazioni, la condivisione all’interno di un gruppo, dall’altra spingono a proporre un’immagine di sé sempre smagliante che finisce per trasformare la persona in un’immagine di sé fissa, ingannevole, che rende invisibili nel senso che trattiene dal manifestare il proprio effettivo sentire con preoccupanti effetti di isolamento».

 

– In questo contesto complesso, quale ruolo gioca il “mondo degli adulti”?

«Anche gli adulti ovviamente patiscono le contraddizioni della nostra società. Può accadere che i genitori si sentano inadeguati a rapportarsi con i figli e oscillino tra comportamenti intransigenti, con richieste di alte prestazioni che possono suscitare ansia nei figli, e comportamenti permissivi che tendono ad evitare il conflitto. La dialettica genitori-figli è invece necessaria e costruttiva per entrambe le parti. È compito del genitore cogliere i segnali di difficoltà del figlio senza minimizzarli o prontamente delegarli all’ascolto specialistico. È importante che i genitori sappiano trovare un tempo di ascolto e di confronto con i figli, che li aiutino a porsi delle domande senza precipitarsi a offrire soluzioni, che spingano all’autonomia e alla fiducia nei rapporti valorizzando il mondo della scuola e tutti gli altri sani contesti di aggregazione, luoghi in cui il giovane, oltre ad aprirsi a percorsi conoscitivi, può costruire relazioni significative con altri adulti e coetanei ed entrare nei legami sociali. Dinanzi alla complessità della nostra contemporaneità, tutti gli adulti, genitori o no, non possono scoraggiarsi o arrendersi perché hanno la responsabilità di trasmettere e di tramandare alle generazioni future possibilità e speranze».