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Prima nave umanitaria multata dopo l’approvazione della legge “anti Ong”

Ci siamo. Nemmeno il tempo di archiviare il voto di ieri che la contestatissima legge denominata “anti Ong” inizia a fare il suo lavoro.

Ieri pomeriggio infatti la Capitaneria di porto di Ancona ha contestato alla nave Geo Barents dell’organizzazione Medici Senza Frontiere, alla luce delle nuove normative, di non aver fornito tutte le informazioni richieste durante l’ultimo sbarco nella città marchigiana del 17 febbraio, con 48 persone a bordo.

«Le autorità italiane sono salite a bordo della Geo Barents e hanno notificato al nostro team il fermo della nave e l’applicazione di una multa. Stiamo valutando le azioni legali da intraprendere per contestare l’accaduto. Non è accettabile essere puniti per aver salvato vite» commenta lo staff della Ong.

Si tratta di un fermo amministrativo di venti giorni e di una multa da diecimila euro nei confronti della nave di Medici Senza Frontiere.
La nuova legge approvata ieri vincola le navi delle Ong a rispettare una lunga serie di requisiti, compreso il possesso di certificazioni e documenti rilasciati dallo Stato di bandiera, provvedimenti questi già presenti nelle normative precedenti. Debbono informare i migranti salvati sulla possibilità di richiedere la protezione internazionale, raccoglierne le generalità e fornirle alle autorità dopo lo sbarco, questa una delle novità.

Il punto profondamente controverso è il seguente: non appena effettuato un salvataggio, le navi devono comunicare cosa è avvenuto e chiedere l’assegnazione di un porto di sbarco, da raggiungere quanto prima, senza fermate intermedie. Spesso però in questi mesi alle navi delle Ong vengono assegnati porti lontani dalla zona di salvataggio, rendendo più lunghi e faticosi il viaggio di approdo e il rientro nell’area di soccorso. Soprattutto le navi vengono a conoscenza di altri naufragi in corso e per questo decidono di spostarsi dalla rotta “obbligata”.

Comandanti, gestori e proprietari delle navi che violano le norme rischiano multe da 10mila a 50mila euro, oltre al fermo amministrativo dello scafo per due mesi (a spese dell’armatore). In caso di reiterazione della violazione, scatterà la confisca. Anche se non si forniscono le informazioni richieste dalle autorità, sono previste sanzioni da 2mila a 10mila euro e il fermo amministrativo della nave per 20 giorni, prorogabile fino a due mesi.

La norma verrà bocciata in caso di ricorsi che certamente ci saranno, come Medici Senza Frontiere ha già dichiarato, perché le norme internazionali danno priorità al salvataggio delle persone e non agli slogan, per fortuna.
Come scrive l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) «Pretendere che il porto di sbarco assegnato sia raggiunto “senza ritardo” e che le modalità di soccorso non impediscano di raggiungerlo “tempestivamente” sottende la volontà di costringere le navi a non soccorrere persone a rischio di naufragio diverse da quelle già soccorse e delle quali abbiano contezza nell’area di mare ove si trovano ad operare, così come di impedire che le persone soccorse siano trasbordate da una nave umanitaria all’altra (per consentire a una di esse di tornare a cercare persone in pericolo).

Pretesa che non potrà mai avverarsi perché qualora il comandante della nave che già ha prestato un primo soccorso venga a conoscenza di una ulteriore situazione di pericolo dovrà sempre dirigersi verso la zona e prestare assistenza in ossequio all’obbligo inderogabile di soccorso previsto dal diritto internazionale consuetudinario e pattizio (art. 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, Cap. V Regola 33 della Convenzione SOLAS) e dal diritto interno (v. art. 1113, art. 1158 Codice della Navigazione).

L’obbligo di soccorso imposto dal diritto internazionale è norma di rango superiore (art. 10 e 117 Cost.) e non può essere derogata da una disciplina interna volta a limitare i soccorsi stessi.
Altrettanto inapplicabile è la previsione che implicitamente vorrebbe collegare l’ordine di raggiungere tempestivamente il porto sicuro assegnato a un divieto generalizzato di trasbordo delle persone da una nave all’altra: da un lato, infatti, la valutazione delle condizioni di sicurezza della nave che eventualmente impongano il trasbordo sono da valutarsi caso per caso e restano nella competenza del/della comandante della nave; dall’altro se il motivo del trasbordo fosse di recarsi subito a soccorrere altre persone in condizione di pericolo, varrebbe il medesimo precetto inderogabile di cui all’art. 98 della Convenzione di Montego Bay.
La normativa internazionale è di inequivoca lettura: lo Stato deve (e non già solo può) esigere dal/dalla comandante di una nave che agisca per prestare soccorso.

Fatte salve le valutazioni tecniche sui rischi per la sicurezza della nave nello svolgere le operazioni di soccorso non ci può essere alcun margine di scelta da parte del/della comandante di qualsiasi nave a effettuare anche diversi soccorsi qualora nel corso della propria navigazione intercetti più situazioni di pericolo e altre navi che portino le persone soccorse in un porto sicuro non siano in grado di intervenire, né le autorità italiane possono ordinare al comandante della nave in pericolo di non effettuare tale soccorso, salvo incorrere nella commissione di gravi reati. Il governo italiano non potrebbe nemmeno impedire il soccorso plurimo se, ad esempio, a conoscenza dell’arrivo di una nave libica, in quanto nessuno può essere sbarcato o consegnato ad autorità di un Paese ove rischi di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti (art. 4 paragrafo 1, Regolamento (UE) n. 656/2014 sulla sorveglianza delle frontiere marittime esterne), come ormai è acclarato avvenga sistematicamente in Libia.
Dunque, la selettività del soccorso sottesa al decreto-legge non potrà mai essere interpretata come ostativa al soccorso di tutte le persone che si trovano in mare in stato di pericolo».

Ma intanto si saranno messi altri bastoni fra le ruote, al prezzo di vite non salvate. Mentre sono direi volte tanto gli sbarchi che avvengono in autonomia, non intercettate dalle navi umanitarie, e chissà quanti i naufragi.