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La Nuova Caledonia resta francese

Non sorprende che il no all’indipendenza abbia vinto in modo schiacciante ieri domenica 12 dicembre nel terzo referendum sull’autodeterminazione in Nuova Caledonia, caratterizzato da un’astensione record dopo la richiesta dei separatisti di boicottare l’appuntamento, del quale hanno a più riprese chiesto il rinvio data l’impossibilità di svolgere una normale campagna informativa a causa dell’emergenza pandemica in corso. Secondo i risultati finali, il no all’indipendenza per questo strategico arcipelago francese nel Sud Pacifico vince con il 96,49% dei voti. Il sì ha ricevuto il 3,51%, i voti vuoti e nulli il 2,99%. L’affluenza alle urne si attesta al 43,90%, in caduta libera rispetto ai referendum precedenti.

Due precedenti elezioni, il 4 novembre 2018 e il 4 ottobre 2020, organizzate nell’ambito del processo di decolonizzazione dell’Accordo di Nouméa, erano state sempre vinte dai filofrancesi con il 56,7% e poi il 53,3% dei voti. 

Emmanuel Macron ha commentato: «La Francia è più bella perché la Nuova Caledonia ha deciso di restarci». L’Accordo di Noumea del 1998, che organizza per tappe la decolonizzazione della Nuova Caledonia, sta arrivando alla sua fine legale, mentre sta iniziando un periodo di transizione, libero dall’alternativa binaria tra sì e no e che dovrebbe portarci a costruire un progetto comune».

E adesso? A giugno a Parigi, gli attori caledoniani avevano deciso con lo Stato che dopo il 12 dicembre si sarebbe aperto «un periodo di stabilità e convergenza» prima di un «referendum di progetto» entro giugno 2023, che, in caso di vittoria del no come avvenuto, dovrebbe riguardare un nuovo statuto nella Repubblica. Il primo ministro francese, Jean Castex, ha reagito domenica spiegando che «sarà avviato un nuovo dialogo. Il governo lo guiderà nel quadro dei principi e degli impegni contenuti nella dichiarazione del 1° giugno, 2021,  in particolare per quanto riguarda le aspettative dei neocaledoniani, in campo economico, sociale e culturale. Si tratterà di determinare modalità e tempi di questo nuovo processo».

Il dialogo, però, non sarà così facile. Il fronte degli indipendentisti avevano fatto sapere prima del referendum che non avrebbero riconosciuto il risultato e che lo avrebbero contestato davanti a organismi internazionali.

La Chiesa protestante di Kanaky-Nuova Caledonia (Epknc), da tempo impegnata per l’indipendenza, ha fatto appello a diversi organismi religiosi che hanno deciso di fare da megafono alla sua chiamata a rinviare la consultazione.

La Chiesa protestante unita di Francia e la Federazione protestante di Francia avevano scritto all’inizio di dicembre al presidente della Repubblica e al ministro dei territori d’oltremare. Oltre a fornire supporto all’Epknc entrambi si impegnavano «ad esercitare la massima vigilanza con le autorità dello Stato affinché siano rispettati i diritti e la dignità delle persone, in particolare per quanto riguarda la scadenza del termine del 12 dicembre. A più lungo termine, pronunciano l’augurio di un futuro di pace e di un ritorno ad un vero dialogo tra i popoli e le comunità del territorio per l’elaborazione di un nuovo statuto accettabile da tutti».

Il segretario generale facente funzione del Consiglio mondiale delle chiese, padre Ioan Sauca, in una lettera al presidente della Francia Emmanuel Macron, aveva espresso sostegno agli appelli della Chiesa protestante di Kanaky-Nuova Caledonia e di altri partner preoccupati riguardo al terzo referendum sull’indipendenza dalla Francia nell’ambito dell’Accordo di Noumea. «È ovvio che questa terza e ultima consultazione del popolo di Kanaky-Nuova Caledonia sulla questione della sua autodeterminazione/indipendenza deve avvenire in condizioni che garantiscano trasparenza, imparzialità e legittimità, secondo lo spirito dell’Accordo di Noumea», si legge nella lettera.

Tuttavia, aveva affermato Sauca, la data del 12 dicembre prevista per lo svolgimento del referendum, quando il territorio sta affrontando un nuovo focolaio di Covid-19 e ha dovuto dichiarare lo stato di emergenza, chiaramente non è favorevole allo svolgimento di un referendum appropriato.

«Prendiamo atto che il calendario fissato dall’Accordo di Noumea consente di indire l’ultimo referendum in qualsiasi momento fino a novembre 2022», ha scritto Sauca.

«Data la posta in gioco eccezionale che incombe su questa decisione cruciale per i cittadini di Kanaky-Nuova Caledonia, nel mezzo di una pandemia e in uno stato di emergenza, e visti gli effetti sproporzionati della pandemia sulle comunità Kanaky, chiediamo di agire in modo ragionevole e mostrando flessibilità nel pieno rispetto del quadro previsto dall’Accordo di Noumea».

Il Consiglio Ecumenico delle Chiese, pertanto, esortava il vostro governo a non insistere per mantenere la data fissata per il referendum, ma a rinviarla fino a quando il referendum non potrà svolgersi in circostanze più favorevoli». Così non è andata e dopo 170 anni da quel 1853 in cui la Francia si impossessò dell’arcipelago, la politica coloniale di Parigi non ha dunque ancora una fine.

Un quarto delle riserve mondiali di Nichel si trova qui. Elemento fondamentale per la fabbricazione dell’acciaio inox, delle monete, delle batterie, dei vestiti, dei cosmetici e di molto altro ancora. il Nichel ha un’enorme valore industriale (100 mila tonnellate annue estratte, un quarto del totale mondiale) e il business è ovviamente in mani francesi, fra le proteste per l’inquinamento correlato alla presenza di aziende metallurgiche, accusate di danneggiare la delicata e preziosa barriera corallina e in generale l’equilibrio flora-faunistico dell’area. 

Il referendum sull’accesso alla piena sovranità, il terzo su tre previsti con lo stesso argomento, per cui tutti Caledoniani dovranno decidere sulla permanenza o meno all’interno della Repubblica francese, ha segnato il culmine di un processo di trent’anni. Un periodo che gli accordi di Matignon, firmati nel 1988 e prolungati dieci anni dopo dagli accordi di Noumea, hanno contribuito a preservare in pace, dopo quattro anni di scontri mortali tra indipendentisti Kanak e Caldoches lealisti. 

La Chiesa protestante di Kanaky Nuova Caledonia, membro della Cevaa, la principale chiesa protestante storica dell’isola con circa 40.000 membri, molto importante nella comunità autoctona Kanaka, si è posta da anni l’obiettivo di accompagnare la popolazione verso il referendum e nel periodo successivo al voto.