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La Nuova Caledonia ha votato no all’indipendenza dalla Francia

La Nuova Caledonia ha scelto di rimanere francese. Lo storico referendum sull’indipendenza di domenica 4 novembre ha visto infatti prevalere i no, con una percentuale del 59,68% a fronte del 40,32% di chi voleva l’autonomia da Parigi, distante 18 mila km circa dall’arcipelago nel Pacifico. La partecipazione è stata massiccia, oltre l’80% dei votanti, segnale dell’importanza della consultazione.

Prima a manifestare soddisfazione per l’esito del referendum è stata la Federazione protestante di Francia, in primis per le «buone condizioni in cui si è svolto il referendum in Nuova Caledonia», e poi per sottolineare il coinvolgimento delle chiese protestanti locali nel traghettare il possedimento d’oltremare dalle acque tempestose dei conflitti con la madrepatria fino all’importante passaggio democratico di oggi:

«Esprimiamo gratitudine per l’impegno civico dei cristiani della Nuova Caledonia e in particolare per l’impegno dei membri delle chiese protestanti con cui abbiamo legami fraterni da così tanti anni. Con loro esprimiamo il desiderio che il futuro della Nuova Caledonia sia segnato dal sigillo della giustizia della pace e della fraternità. Non vediamo l’ora di accogliere presto i presidenti delle principali chiese protestanti a Parigi per la nostra Assemblea Generale».

La Epknc, la Chiesa protestante dei Kanaky della Nuova Caledonia, in cui si riconosce circa il 10% degli abitanti dell’arcipelago del Pacifico, e che come la Chiesa valdese fa parte della Cevaa, la Comunità di chiese in missione, si è fatta portavoce senza tregua di un dialogo sereno e maturo fra le parti.

Il referendum di autodeterminazione del 4 novembre 2018 ha segnato l’atto finale di un processo lungo più di trent’anni. Sono stati gli accordi di Matignon a preservare la pace civile tra il 1988, l’anno degli scontri più accesi fra popolazione locale e forze militari francesi, e i giorni attuali.

Negli ultimi anni la popolazione locale, i Kanaki, sono diventati la minoranza rispetto ai cittadini di provenienza e origine europea, e per questo il voto appariva indirizzato verso il mantenimento del legame con la Francia.

Negli ultimi decenni, la società della Nuova Caledonia si è trasformata. È diventata sempre più multiculturale. In cittadine come Noumea, i giovani di diverse comunità si sono abituati a vivere fianco a fianco, sebbene persistano forti differenze sociali fra i nativi e chi proviene da fuori. Sono i numeri impietosi a stabilirlo: nel 2009, solo il 12% degli studenti kanaki delle scuole secondarie ha superato il diploma di maturità rispetto al 54% degli studenti di origine europea, e il potere economico viene detenuto saldamente dalla componente bianca presente sulle isole.

La Nuova Caledonia è dotata di uno status speciale ed è amministrata da un Alto Commissario. Il Governo viene esercitato da un Congresso formato dai componenti delle assemblee provinciali, per un totale di 54 membri. Nel Parlamento francese, la Nuova Caledonia, che conta poco più di 250 mila abitanti, viene rappresentata da un senatore e due deputati.

L’arcipelago è stato scoperto da James Cook nel 1774 che lo battezzò in quel modo perché le isole gli ricordavano la Scozia, anticamente chiamata proprio Caledonia. Dal 1864 ai primi anni del ventesimo secolo fu una delle principali colonie penali di Parigi.

Un quarto delle riserve mondiali di Nichel si trova qui. Elemento fondamentale per la fabbricazione dell’acciaio inox, delle monete, delle batterie, dei vestiti, dei cosmetici e di molto altro ancora. il Nichel ha un’enorme valore industriale (100 mila tonnellate annue estratte, un quarto del totale mondiale) e il business è ovviamente in mani francesi, fra le proteste per l’inquinamento correlato alla presenza di aziende metallurgiche, accusate di danneggiare la delicata e preziosa barriera corallina e in generale l’equilibrio flora-faunistico dell’area. Le grandi manovre politiche hanno inizio.

Non a caso il presiedente Macron è sbarcato in pompa magna a Noumea il 3 maggio, per una intensa tre giorni di incontri per far sentire la vicinanza e la voglia della Francia di non perdere queste terre in posizione strategica a fianco dell’asse indo-cinese. Macron al suo fianco ha voluto fra gli altri proprio il pastore François Clavairoly, presidente della Federazione protestante francese, a suggellare l’importanza della chiesa protestante locale quale attore sociale ascoltato e rispettato. Il protestantesimo ha una lunga storia a queste latitudini: dopo la partenza della London Missionary Society, la prima a evangelizzare la popolazione locale all’inizio del XIX secolo, dal 1853 la Nuova Caledonia diventa un possedimento transalpino.

Foto: il tempio protestante a Noumea