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Nepal. Il suicidio non è l’unica via d’uscita

Un giorno potrebbe essere una donna sposatasi troppo giovane e intrappolata in una vita che non voleva. Un altro giorno, potrebbe essere qualcuno che ha perso tutto e tutti quelli che ha amato nel devastante terremoto del 2015. Le loro storie sono diverse, ma entrambe arrivarono alla stessa conclusione: togliersi la vita.

In Nepal, dove la gente ha sofferto un trauma inimmaginabile, e dove c’è un enorme stigma legato alla salute mentale, il suicidio può sembrare l’unica via d’uscita per coloro che stanno vivendo terribili disagi e sofferenze.

In questo contesto la Società Missionaria battista (Bms) in collaborazione con l’Elia Counselling Training Center (ECTC) a Kathmandu, ha avviato un progetto il cui obiettivo è la sensibilizzazione sui sintomi del trauma. Jenny Saunders, counsellor della Bms, sta formando persone del posto a diventare counsellor in grado a loro volta di formare persone che nelle comunità rurali sappiano riconoscere i sintomi e portare sostegno psicologico alle persone affette da disagio mentale.

Jenny Saunders forma i counsellor a lavorare in coppia, in modo da sostenersi reciprocamente, e fornisce loro gli strumenti per lavorare in modo etico e professionale. Il potersi affidare al sostegno l’uno dell’altro è un valido aiuto quando si affronta il disagio mentale delle persone che si assistono.

Saunders sta inoltre portando avanti ricerche sulle tecniche di supervisione. È solo con un rigoroso lavoro di supervisione che si mettono in atto i passaggi chiave per garantire che le persone non vedano il suicidio come l’unica via d’uscita. «Senza supervisione, è molto facile vanificare o non fare un buon lavoro», afferma Jenny, «hai bisogno di qualcuno che ti supporti».

Il lavoro che tutto il team della Bms sta compiendo è pioniere di nuovi modi di trattare i problemi di salute mentale e traumi in Nepal.