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Il pacifico, gioioso, festoso circo umano di Nanni Moretti

Siamo nel 1956 e per Nanni Moretti la dolce vita è l’avvento della luce elettrica nel quartiere popolare del Quarticciolo a Roma, seguito dall’arrivo di un circo ungherese. Basterebbe questo per rendere interessante Il sol dell’avvenire, ultima fatica del regista romano, ma c’è molto, molto di più.

È un’opera che cerca di tirare le fila di mezzo secolo di carriera del Woody Allen italiano, a cui non importa del pubblico (o forse gli piace dire che non gli interessa). L’autore si offre come maschera da commedia dell’arte e non si fa problemi a rompere la quarta parete, invitando in scena Renzo Piano e Chiara Valerio a dar ragione al proprio personaggio, proprio come faceva Allen con Marshall McLuhan in Manhattan.
Si tratta, poi, del terzo sol dell’avvenire nel cinema di Moretti. Il primo sfugge perché lo si aspetta sorgere dalla parte sbagliata (Ecce Bombo, 1978) , mentre il secondo si alzava nella scena finale di Palombella rossa (1989): tutto il cast allungava il braccio come per afferrarlo, ma ne restava abbagliato, eccetto il bambino che impersonava il protagonista da piccolo, che scoppiava a ridere, l’unico ad accorgersi (come in una celebre fiaba di Andersen) che era un sole finto, da scenografia.

In Il sol dell’avvenire Moretti torna ad affrontare il rapporto tra vita privata e politica. È invecchiato, ma non è molto diverso da com’era in gioventù, perché nella vita reale di solito le persone non sono come i personaggi dei film, che cambiano, maturano, evolvono secondo un arco di trasformazione prefissato. Non c’è spazio per la nostalgia di un passato idilliaco perché, se il presente ci appare sbagliato, è perché lo era anche il passato.

A questo serve l’arte, sintesi necessaria tra privato e politico.

In questo soprattutto Il sol dell’avvenire si differenzia dai precedenti film del regista, accostandosi maggiormente a una delle sue opere considerate minori, Sogni d’oro (1981), in cui un regista in crisi creativa non sa se disprezzare o desiderare il pubblico e alla fine si rivela essere un mostro. Proprio in Sogni d’oro c’era una battuta urlata che non solo spiega Il sol dell’avvenire ma anche il nostro tempo presente: «Non parlo delle cose che non conosco!»

Nel nuovo film ad esempio incontriamo uno sceneggiatore che collabora a un film sull’Italia del 1956, pur non avendo idea della realtà storica del PCI: «I comunisti sono i russi, mica gli italiani. Quando in Italia uno dice “Comunista!” a un altro, mica intende “comunista”, ma è così per dire!» Ma se non sai che nel 1956 c’erano milioni di comunisti italiani, come pensi di poter scrivere quel film?

Incontriamo anche un regista che gira la scena di una brutale esecuzione, banalizzando la violen-za. Ma se non hai visto Breve film sull’uccidere di Kieślowski, come fai a girare una scena di omicidio?
Insomma, se non hai studiato, come puoi pensare di cimentarti nel processo creativo? Come fai a parlare di cose che non conosci?

Su questo punto troviamo un’inedita e sorprendente convergenza con Quentin Tarantino, regista notoriamente non amato da Moretti, che però studia molto prima di creare. Come Tarantino (ad esempio in Bastardi senza gloria e C’era una volta a…Hollywood), anche Moretti modifica la storia a proprio piacimento: «Sì, nel 1956 nelle sezioni del PCI c’era il ritratto di Stalin, ma io il ritratto di Stalin nel mio film non ce lo voglio». Solo la conoscenza ti permette di volere, di potere e, dunque, di creare.

Per fare cinema devi conoscere Kieślowski, ma anche Lola di Jacques Demy e La dolce vita di Fellini; devi concepire il circo, metafora della vita per Chaplin, Fellini e Bergman; devi prendere sul serio il sogno e, di conseguenza, la psicanalisi. E una volta che hai messo tutto insieme, circo, sogno e psicanalisi, puoi pensare all’arte, e così arrivare a riflettere sulla morte, per prendere in considerazione l’amore e celebrare infine la vita.

Il Circo Moretti si presenta così al gran completo, in una marcia che richiama Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, un “esercito” pacifico, gioioso, festoso che avanza sui Fori Imperiali in una giornata di sole. È il sol dell’avvenire, che stavolta non è di cartone, ma è fatto della riconciliazione tra privato e politico, tra amore e morte, tra sogno e realtà: è la celebrazione pura della vita.