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Libia, i “pieni poteri” di Haftar

«Annunciamo che il comando generale delle Forze Armate accetta il mandato del popolo libico». Con queste parole, lunedì 27 aprile il maresciallo Khalifa Haftar, capo militare della Cirenaica, si è di fatto autoproclamato capo della Libia.

Come spesso succede quando ci si attribuisce pieni poteri, il tono è quello di chi si rappresenta come uomo “al servizio del Paese”, e la retorica di Haftar non fa differenza.

Tutto questo succede mentre le forze di Tripoli, il cui governo, guidato da Fayez al-Sarraj, è riconosciuto dalle Nazioni Unite, stanno intensificando l’assedio sull’esercito nazionale libico a Tarhuna, e mentre le forze della Cirenaica, che si riuniscono sotto il nome di Esercito Nazionale Libico (al-Jaysh al-wataniyy al-Libiy, spesso abbreviato in LNA) rilanciano le operazioni militari per conquistare la capitale Tripoli. In questo gioco di vittorie e sconfitte, entrambi gli schieramenti sembrano cercare di invertire l’inerzia della guerra civile. In particolare questo vale per Haftar, che ha vissuto una serie di sconfitte militari che hanno permesso al governo di Tripoli di riconquistare alcune città della costa verso il confine con la Tunisia, come Sorman e Sabrata. Nei giorni precedenti, l’esercito della Cirenaica aveva tagliato le forniture di acqua rendendo ancora più critica la situazione, soprattutto in un periodo di grandi preoccupazioni legati alla crisi sanitaria globale, che potrebbe provocare un disastro nel disastro se dovesse colpire con forza i centri di detenzione per persone migranti, luoghi in cui non è garantito nessun diritto fondamentale, tantomeno quello alla salute e all’igiene.

Nel grande gioco di specchi della guerra libica, l’annuncio televisivo di lunedì 27 sposta ancora una volta l’attenzione da quanto avviene sul terreno. Oltre ad assumersi i poteri, Haftar ha dichiarato che l’intesa di Skhirat, che nel 2015 aveva stabilito la creazione di un governo di accordo nazionale con sede a Tripoli e guidato da Fayez al-Serraj, non è più valida.

Non c’è niente di nuovo né di sorprendente: già nel 2017 il maresciallo (spesso chiamato “generale”) aveva dichiarato scaduto questo accordo, mentre la scorsa settimana aveva chiesto ai libici di scegliere un’istituzione per governare il paese, visto che il governo stabilito da quell’accordo non era piu’ valido.

Con l’annuncio alla tv al-Hadath, Haftar sembra voler accelerare il percorso verso la conquista di Tripoli, avviato l’anno scorso con una serie di offensive contro gli uomini di Serraj. Finora, infatti, il maresciallo aveva fondato la propria legittimità sul supporto di Tobruk e della Cirenaica, mentre con questa mossa prova a mostrarsi come rappresentante di tutto il Paese, compresa l’area meridionale, il Fezzan, fondamentale per l’attività estrattiva del Paese ma sistematicamente esclusa dal dialogo tra le parti.

Ancora una volta, quindi, l’appello per una tregua umanitaria è caduto nel vuoto. Era già successo a marzo, quando il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, aveva invitato tutte le parti in conflitto in tutto il mondo a fermare i combattimenti per fronteggiare insieme la pandemia, trovando poche risposte positive. Questa volta, erano state Italia, Francia e Germania, insieme all’Unione europea, a invitare Haftar e al-Serraj a una tregua umanitaria in occasione del Ramadan. Ma niente di tutto questo sembra poter fermare il conflitto, per ora.

Secondo quanto annunciato da Haftar, l’esercito “lavorerà per la creazione di istituzioni permanenti di uno Stato civile”. Tuttavia, nessuno crede a questa affermazione, al punto che gli osservatori internazionali hanno respinto la sua dichiarazione unilaterale, invitando nuovamente Haftar a trattare con al-Serraj a partire proprio dal cessate il fuoco per il Ramadan ignorato pochi giorni fa.

È improbabile che la linea di dialogo si possa aprire, perché solo qualche giorno fa Haftar, in un altro discorso televisivo, proprio in occasione dell’inizio del Ramadan, aveva accusato Sarraj di crimini equiparabili all’alto tradimento verso la Nazione.

Questa volta, però, anche gli alleati di Haftar non sembrano convinti. La Russia ha infatti definito “sorprendenti” le rivendicazioni di Haftar, invitandolo a rispettare le decisioni prese durante il vertice di Berlino e, soprattutto, la risoluzione 2510 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, su cui peraltro la Russia si era astenuta.

Inoltre, la mossa di Haftar sembra aver ottenuto un risultato paradossale, quello di far ripartire il dialogo tra istituzioni.

Il presidente del parlamento di Tobruk, Aguilah Saleh, ha infatti definito una base di accordo con il Governo di accordo nazionale libico, proprio con lo scopo di escludere Haftar, che esautorando il parlamento di Tobruk si è isolato politicamente in modo forse definitivo.

Già lo scorso giovedì il presidente della Camera dei rappresentanti, Saleh, aveva avviato un’iniziativa politica in otto punti che si concentrava su un nuovo governo e su una nuova selezione dei suoi membri in base alle tre regioni storiche della Libia, ovvero Cirenaica, Tripolitania e Fezzan, e la riscrittura della Costituzione, per andare poi a nuove elezioni politiche.

Non è chiaro quanto di questa proposta sia confluito in questo accordo, ma si ritiene che si tratti di un’intesa di massima su una via d’uscita politica dalla crisi libica.

Il capo “ad interim” della missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsil), Stephanie Williams, ha accolto con favore l’iniziativa e ha rinnovato la promessa di impegno verso una soluzione della crisi, ormai entrata nel suo decimo anno.