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L’infausta quotidianità delle morti sul lavoro

«Oggi 28 aprile è la Giornata mondiale della sicurezza e della salute sul lavoro», ricorda Stefano Corradino sul sito dedicato alla libertà d’espressione da lui diretto, Articolo 21: «un tema – prosegue –, di cui ci siamo sempre occupati al di là delle ricorrenze perché i morti e gli infortuni sul lavoro non sono una sporadica emergenza né una tragica fatalità ma una infausta quotidianità indegna di qualsiasi paese civile».

Morti sanguinose e «non bianche – prosegue Corradino –, come erroneamente ribattezzate dalla gran parte della stampa e dei media». 

Una denuncia che il portale della libera informazione (che ha scelto il suo nome ispirandosi proprio all’importante Articolo 21 della nostra Carta Costituzionale) ripete ormai da anni e lo fa in particola modo con due collaboratori esperti in materia, Marco Bazzoni e Carlo Soricelli.

Con regolarità, Bazzoni e Soricelli, stilano il doloroso bollettino delle morti sul lavoro: un quotidiano e scrupoloso monitoraggio redatto con attente analisi e mirati approfondimenti.

Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza-Firenze, solo pochi giorni fa ricordava che «Sono 91 i lavoratori morti dall’inizio dell’anno ad oggi». E proseguiva «se a queste morti aggiungiamo quelle su strada ed in itinere, potremmo aver addirittura superato i 200 morti, un bollettino di guerra».

L’Inail, l’Amnil, e gli omologhi internazionali, ogni anno pubblicano le statistiche dei decessi e degli invalidi: «Statistiche – afferma ancora Corradino – che quest’anno non potranno non tenere conto delle tante vittime da Coronavirus, soprattutto tra il personale medico, sanitario e infermieristico. Sono 151, ad oggi, i medici morti in Italia e sono decine di migliaia i contagi avvenuti tra il personale sanitario».

Per i sindacati di categoria, che hanno presentato diversi esposti, «il personale sanitario – ricorda ancora Corradino – ha certamente contratto il virus per la mancanza di dispositivi di protezione individuale. E la situazione non è meno grave in altri Paesi, a cominciare dalla Spagna».

Con il DL 18/2020 (Decreto Cura Italia), all’articolo 42 comma 2, afferma che per chi si ammala sul lavoro per coronavirus (Covid-19), e muore, è previsto che questo decesso rientri come morte sul lavoro con relativa tutela Inail. Ente che con una circolare interpretativa chiarisce: «le infezioni da nuovo Coronavirus avvenute nell’ambiente di lavoro o a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa sono tutelate a tutti gli effetti come infortuni sul lavoro». 

Non è possibile, in questo momento, prosegue ancora Bazzoni, «stilare una cifra precisa di quanti lavoratori siano morti per coronavirus e quanti di questi saranno poi effettivamente riconosciuti come tali», ma è una questione «che riguarda anche noi cittadini», come opportunamente hanno ricordato anche Milena Gabanelli e Rita Querzè sul Corriere.it «perché – conclude infine Stefano Corradino – i medici positivi al virus rischiano di trasformare gli ospedali in focolai del contagio; dunque è necessario alzare il livello di sicurezza del personale sanitario, questa l’unica possibilità per stabile il successo (o dell’insuccesso) della lotta contro il coronavirus. Tutelare medici e infermieri è dunque fondamentale, ma non solo loro. Le categorie professionali esposte sono e saranno numerose. Ed è necessario che un’adeguata prevenzione sia messa alla base di ogni azione per affrontare una possibile eventuale futura emergenza».