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Per le nostre chiese: un futuro di fiducia

Impossibile rendere conto compiutamente della Giornata dei concistori delle chiese del I Distretto, il 7 aprile a Pinerolo. Si dice: bisognava esserci. Ma c’erano 120 persone, non solo pastori e pastore, anche membri di chiesa. Un interesse forte, convinto, in linea con il cammino avviato con la Conferenza distrettuale 2017 riguardo al futuro delle «nostre» chiese. La Comm.ne esecutiva distrettuale (Ced) aveva già organizzato le assemblee di novembre (senza pastori né pastore, condotte da coppie di animatori provenienti da altre comunità). La Commissione «Vita delle chiese» ha poi vagliato le risposte dei partecipanti, riassunte nelle slide illustrate da Lucia Dainese, membro della Ced e della Commissione «vita delle chiese». Ne emergono problemi e attese che, se possono in qualche caso sembrare quelli «di sempre», vanno però ricondotti alla condizione di oggi: una precarietà, innanzitutto, nelle vite di ognuno e ognuna, che nelle chiese si traduce anche in termini di scarsa disponibilità ad assumere incarichi e nel calo delle contribuzioni. E forse proprio per questo, prima fra le attese dei membri di chiesa c’è quella relativa alle relazioni umane, al bisogno di una comunità accogliente.

Quattro relazioni hanno proposto sfide impegnative per il futuro, ma anche per l’oggi. Caratteristica comune a tutte è stato vedere la realtà in termini di visioni dialettiche.

1. La chiesa (e non solo la nostra) è al tempo stesso avvenimento e istituzione, cioè un frutto dello Spirito e una struttura che si organizza e cerca di mantenersi solidamente. Ne ha parlato Marcello Salvaggio («Dalla chiesa nel N. Testamento all’ecclesiologia riformata»), sottolineando la dialettica che c’è fin dalle origini fra slancio missionario e necessità di consolidare e mantenere il deposito di fede su cui la chiesa si basa. La nostra realtà è un po’ ondivaga fra queste esigenze, ma gli stessi Riformatori hanno accentuato il ruolo dello Spirito (soprattutto Lutero) oppure l’organizzazione e il rapporto con la società. Tenere insieme i due aspetti è una sfida, grossa, ma è anche un’opportunità.

2. La chiesa costruisce se stessa sul rapporto fra individuo e comunità, corrispettivo odierno di quella che fu l’alternativa tra il Risveglio e l’adesione personale all’Evangelo o la chiamata a evangelizzare l’Italia che andava formandosi nella seconda metà dell’Ottocento. Bruna Peyrot («Una chiesa in analisi») ha chiarito che non si può pensare a una chiesa che preveda una sola forma di attivismo e di militanza. Non tutti saranno testimoni allo stesso modo (ma lo sono poi stati in una qualche epoca?): ma questo dato di fatto non deve necessariamente essere inteso come preoccupante. Suscita perplessità, invece, che si usino i termini «comunità» e «chiesa» come equivalenti. Altro termine ambiguo, «territorio», freddo: meglio dire terra, e mantenere il legame con storia e memoria.

3. La chiesa vive nella tensione fra cura dei rapporti e necessità di testimoniare. Sabina Baral («La chiesa tra orizzontalità e verticalità. Da comunità di ascolto a comunità di annuncio») ha preso sul serio il bisogno, espresso da molti, di un luogo dove dare e avere aiuto reciproco: a una successiva domanda, tuttavia, le assemblee hanno risposto che essere una comunità di credenti implica riconoscere che essa si fonda sulla Parola di Dio e su Gesù Cristo, da annunciare certo all’esterno, ma in primo luogo all’interno; senza annuncio è difficile essere capaci di un ascolto che, a quel punto, può essere esercitato da altre figure e professionalità. Senza centralità della Parola, si corre il rischio che anche l’azione diaconale, in particolare la Diaconia valdese, sia percepita come importante, ma come opera di tecnici, come discosta dalle chiese.

4. La Chiesa valdese, piccola di per sé, è inserita in una più ampia famiglia, e in questa famiglia gode di una considerazione che le viene dalla storia, ma anche da azioni svolte direttamente in Italia (come i corridoi umanitari) o finanziate nel mondo tramite otto per mille. Claudio Pasquet («Appartenere alla famiglia riformata mondiale: aiuto, speranza e stimolo») ha chiarito che la nostra chiesa di molti organismi è addirittura socio fondatore: in altri tempi, decenni fa o ancor più, quando l’ecumene era pensata con una centratura tutta europea. Oggi il baricentro si è spostato, e ogni occasione di collaborazione con altre strutture può essere utile stimolo, soprattutto per quanto riguarda i metodi di lavoro, su cui c’è sempre da imparare.

Alcuni interventi hanno chiuso la mattina e i gruppi di lavoro hanno cercato di rispondere alle domande che (una ciascuno) i relatori hanno espresso. Ne traggo solo alcuni ulteriori stimoli, senza ricondurli alle rispettive relazioni: la consapevolezza che la chiesa valdese è «ordinata» anche perché non è gerarchizzata (se non nella gerarchia di assemblee); l’accettazione che oggi tutto, anche le conversioni, sono a carattere intermittente: non scoraggiarsi, dunque, di fronte a segnali che paiono contraddittori; spesso i non valdesi riconoscono il valore della predicazione delle nostre chiese; c’è infine in esse, ben avvertito, un bisogno di preghiera che non si può ignorare, che ci interpella. E allora, dopo questa carrellata, molti sono i problemi, ma più grande di essi è la fiducia in chi ci salva e mantiene sempre le proprie promesse.