Pasqua a Gerusalemme

Tra fedeli e fucili d’assalto il racconto della prima Pasqua dopo il sette ottobre

 

Le luci delle candele in fila una dietro l’altra riempiono il Santuario del Santo Sepolcro, i canti risuonano dentro la cupola e centinaia di fedeli sfilano pregando.

Ci sono cristiani copti, armeni, ortodossi e siriaci; vengono da tutte le parti del mondo.

 

«Ognuno qui dentro ha il suo luogo di culto per la propria liturgia, ma il luogo sacro è uno solo ed è il Santuario», spiega Fra Stephan, il presidente della Basilica del Santo Sepolcro. Per la celebrazione della Pasqua Cristiana, il cuore di Gerusalemme si sposta come ogni anno nel quartiere cristiano. A qualche metro da quello musulmano, che resta sigillato tra i posti di blocco dell’esercito israeliano, si intravedono i primi negozi di souvenir a tema cristiano.

Qui dal sette ottobre non c’è più lavoro. «Questo è il primo anno che viviamo una crisi di tale portata; con l’inizio della guerra a Gaza non viene più nessuno», racconta  Johm Ahaeh, negoziante palestinese cristiano, da diversi anni a Gerusalemme. Per questa Pasqua però, qualche coraggioso pellegrino è tornato a pregare in Terra Santa, sfidando la paura della guerra e delle limitazioni imposte dal governo israeliano.

Elisabeth è indiana ed è venuta apposta da Nuova Delhi per festeggiare la Pasqua a Gerusalemme: «Sono qui per pregare per la fine della guerra», spiega mentre attende il suo turno per entrare nel  Santo Sepolcro. Dietro di lei alcuni pellegrini ucraini ci ricordano l’altro sanguinoso conflitto ancora in corso.

 

«Questa Pasqua ho scelto di venire qui proprio per dare una testimonianza di pace, ho conosciuto la guerra in Vietnam, quella in Ucraina, il massacro a Sarajevo. Sono qui per farmi tramite di pace anche in questa terra martoriata da anni di conflitto»,  spiega il sacerdote Angelo Pittau, venuto apposta dalla Sardegna. Non è l’unico italiano, insieme a lui i fedeli del primo pellegrinaggio che l’Opera Romana è riuscita a organizzare dopo il sette ottobre. «Veniamo qui da diversi anni, – spiegano – Gerusalemme è sempre stata una città in cui la tensione era tangibile, ma mai come adesso. Non avevamo mai visto una situazione simile e spero mai la rivedremo».

 

E mentre c’è chi vive la prima Pasqua a Gerusalemme, chi quella di una lunga serie, per qualcuno invece questa sarà l’ultima qui. Daba e Reda sono due giovani donne etiopi, vivono in Israele da quindici anni, dove si sono trasferite per motivi economici. «Lavoriamo da quindici anni in Israele come badanti – raccontano – ma non abbiamo la cittadinanza. Per questo motivo quella di oggi sarà la nostra ultima Pasqua qui, senza documenti siamo costrette a tornare in Etiopia».

 

Non per tutti è stato possibile raggiungere Gerusalemme, degli ottomila permessi richiesti da cristiani palestinesi che vivono nella Cisgiordania occupata, solo duemila sono stati accettati dalle autorità israeliane. «Ricordo gli anni passati in cui venivano qui anche i cristiani di Gaza, oggi stanno morendo. A tantissimi palestinesi che vivono fuori da Gerusalemme non è stato permesso di venire qui a pregare, e altri che avrebbero potuto non sono venuti perché avevano paura di uscire dalle loro case, di attraversare i checkpoint. Questa situazione deve finire, dobbiamo aprire gli occhi di fronte all’ingiustizia di questa realtà», dichiara Rene, palestinese cristiano ortodosso di Gerusalemme. Ma Pierbattista Pizzaballa, il patriarca di Gerusalemme, ricorda che quest’anno anche migliaia di musulmani non sono potuti venire a pregare a Gerusalemme dall’inizio del Ramadan per motivi di “sicurezza”, il che evidenzia come questo sia un periodo molto difficile per chiunque in Terra Santa.

Intanto la processione prosegue, in fila i fedeli raggiungono nuovamente l’uscita della chiesa, un ultimo momento di preghiera. “Dio è Pace”, “Dio è Pace, “Dio è la Pace”, ripete una donna in francese pregando sulla tomba di Cristo.  Dio è pace ma fuori c’è la guerra e quando la processione si scioglie, si ritorna nelle strade militarizzate di Gerusalemme, tra bambini alti un metro e fucili due volte più grandi di loro.

 

 

 

 

 

Foto di Stefano Stranges