Il giro del mondo in dieci giorni
Il dietro le quinte del Festival del Cinema di Venezia, in salsa protestante
82ª Mostra internazionale d’arte cinematografica, Italian Pavilion, Hotel Excelsior, Lido di Venezia, venerdì 5 settembre. Il pastore tedesco Dirk von Jutrczenka, presidente della Giuria protestante, annuncia il vincitore del Premio Interfilm: Silent Friend di Ildikó Enyedi, film «che risveglia la nostra meraviglia per il mondo, spalancando le porte della percezione e restituendoci un senso di curiosità infantile. Un trittico che si dispiega sulle interconnessioni e ramificazioni della vita, è una resa poetica dell’unione tra scienza e spiritualità». Ritirano il premio i produttori Monika Mécs, Nicolas Elghozi e Morgane Olivier, accompagnati dai rappresentati della distribuzione italiana Movies Inspired.
Ma come si arriva a questo momento?
La storia lunga. I festival sono “fiere del film”, con competizioni e relative giurie che assegnano premi ufficiali. A questi si affiancano premi collaterali, promossi da istituzioni indipendenti di vario tipo. Il primo premio collaterale è nato nel 1948 proprio a Venezia a opera di Ocic (Office catholique international du cinéma; dal 2001 Signis Cinema), mentre la prima giuria protestante è stata a Berlino nel 1963, a opera di Interfilm. Nel 1973 il Festival di Locarno ha spinto Ocic e Interfilm a nominare una Giuria ecumenica congiunta; anche a Cannes (1974) e Berlino (1992) si sono formate giurie ecumeniche, ma a Venezia no, soprattutto per resistenze in ambito cattolico. Neanche la fondazione dell’Associazione protestante cinema “Roberto Sbaffi” nel 2002 (dedicata a uno dei primi registi di Protestantesimo) è bastata per avere una giuria ecumenica. Così, nel 2011 è nato il “Premio Interfilm per la promozione del dialogo interreligioso”.
Il lavoro da fare ogni anno. In ogni festival è presente un capo delegazione, che non fa parte della giuria ma la coordina, curando i rapporti tra Interfilm e direzione del festival. Dal 2011 al 2023 Karsten Visarius, direttore esecutivo di Interfilm, è stato capo delegazione a Venezia, mentre dal 2024 il testimone è passato a chi scrive.
La prima cosa da fare è costituire una giuria, operazione non semplice che può comportare anni di lavoro: bisogna combinare competenza, diversità, disponibilità di tempo e di risorse finanziarie. La partecipazione del membro italiano della giuria è sostenuta dall’Otto per mille valdese.
Una volta selezionato il gruppo (quest’anno, oltre al già citato presidente, composto da Leonardo Noam Ribet Griot, Italia; Anita Uzulniece, Lettonia; Edna e SB Rodriguez Plate, Usa), va accreditato presso la Biennale come giuria entro giugno. Parallelamente bisogna individuare un luogo adatto alla premiazione. Per anni, la mattina dell’ultimo giorno, la giuria Interfilm ha partecipato a una premiazione molto affollata insieme ad altre giurie. L’anno scorso questo spazio è venuto meno per motivi organizzativi e la giuria Interfilm ha trovato una soluzione alternativa insieme alla giuria cattolica, valorizzando la storica partnership e amicizia tra le organizzazioni. A cinque settimane dall’inizio, la Biennale annuncia la lista dei film nelle varie sezioni, ma solo una decina di giorni prima comunica il calendario delle proiezioni.
Lì inizia il lavoro più importante del capo delegazione: selezionare i 24 film inediti da sottoporre alla giuria, scegliendoli tra le sezioni Concorso e Orizzonti secondo tre criteri: individuare autori già premiati da giurie Interfilm o ecumeniche; leggere le sinossi di tutti i film, ricercando tematiche rilevanti (fede, relazioni, etica); garantire la diversità culturale e di genere; il tutto facendosi guidare anche dall’istinto. Alla fine si prepara il calendario di proiezioni per la giuria.
La Mostra. La Mostra dura dieci giorni, cui si aggiungono un giorno di arrivo e uno di partenza. Bisogna aiutare la delegazione a trovare un alloggio sostenibile, giusto equilibrio tra costo e distanza dal Lido, dove si svolgono tutte le proiezioni e attività annesse. Il giorno degli arrivi si accoglie il gruppo, guidandolo a ritirare il preziosissimo badge di accredito e facendole fare un tour delle sale dove avverranno le proiezioni, le conferenze stampa e la premiazione finale, banalmente indicando anche dove si trovano le toilette migliori. Gli ultimi due giorni della Mostra sono dedicati a deliberazione e premiazione. La visione di 24 film in otto giorni è una prova fisica e mentale non da poco. Ci sono giorni con quattro proiezioni, per non tacer di conferenze, masterclass e riunioni di giuria: di solito si lascia la camera alle 7.15 per tornarvi a mezzanotte, vaporetto permettendo.
A questo fitto programma si aggiunge un evento nella città a Venezia, che mira a far dialogare il Festival con la realtà delle chiese locali. Quest’anno è stato proiettato Fondamenta delle Convertite, documentario sul carcere femminile di Venezia, seguito da un partecipato dibattito insieme alla regista Penelope Bortoluzzi e all’ex dirigente del ministero della Giustizia Chiara Ghetti. Partner la chiesa valdese e metodista di Venezia, il Centro culturale Palazzo Cavagnis e il Gruppo Sae di Venezia, col sostegno dell’Opm valdese.
Il lavoro di Interfilm può offrire spunti interessanti per la vita delle chiese locali, a esempio per cineforum o altri eventi culturali legati al cinema. La sua sezione italiana, la “Roberto Sbaffi”, si pone anche l’obiettivo di rendere questo lavoro fruibile alle chiese.
Vale la pena? La delegazione arriva alla fine della Mostra “sfatta e soddisfatta”. Non sono solo film: è un giro del mondo in dieci giorni. La discussione sui film è quasi più bella della visione stessa, perché è un atto politico di condivisione, in cui si convince e si viene convinti, in cui circolano le idee.
La bellezza pura di Silent Friend di Enyedi, di Sotto le nuvole di Rosi e di Father Mother Sister Brother di Jarmusch, la sfida delle vicende di The Voice of Hind Rajab di ben Hania, di A House of Dynamite di Bigelow ed Elisa di Di Costanzo, le storie di The Testament of Ann Lee di Fastvold, il nuovo racconto di Frankenstein di Del Toro, per citare solo alcuni film: è certamente un privilegio, un talento da mettere a frutto nella vita quotidiana. Infine, per le nostre chiese essere presenti attraverso la “Roberto Sbaffi” è occasione di conoscenza del mondo e di farsi conoscere nella manifestazione culturale più importante del nostro paese.
E ora ci sono dodici mesi per organizzare la giuria Interfilm del 2026.