Prendere sul serio la vocazione che Dio ci rivolge

Un giorno una parola – commento a Romani 10, 12

 

Il Signore sarà re di tutta la terra; in quel giorno il Signore sarà l’unico e unico sarà il suo nome

Zaccaria 14, 9

 

Egli è lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano

Romani 10, 12

Pensare a Dio e al suo sguardo sul mondo può avere dei risvolti inquietanti. Storicamente, ne ha avuto molti e un po’ spaventosi: l’idea del terribile giudizio di Dio ha accompagnato la parola “fede” per generazioni, la cosiddetta “teologia della paura”. 

Dobbiamo riconoscere di avere un rapporto un po’ confuso con questo argomento: da un lato la Scrittura conosce alcune pagine dure sull’argomento – pensiamo a Genesi 12, 3, quando Dio dice ad Abramo “benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà…” – dall’altro ci troveremmo in difficoltà se qualcuno predicasse un Dio che “maledice” qualcuno o qualcuna.

 

Anche la tradizione protestante ha conosciuto approcci “duri” rispetto a un Dio che condanna: pensiamo a quanto ha crucciato la questione della predestinazione i Riformatori e non solo; pensiamo a come un tono cupo ha accompagnato la rappresentazione della vita in un certo mondo protestante – raffigurato ad esempio da capolavori cinematografici come Fanny e Alexander di Ingmar Bergman.

 

L’apostolo Paolo non nega che il rapporto tra umanità e Storia sia complicato e da prendere sul serio: Dio ci chiama a vivere come persone cristiane nel mondo, nella concretezza della realtà.

Però prendere sul serio la vocazione che Dio ci rivolge non significa che viviamo in una prigione senza fine, come fosse una spada di Damocle che pende sulle nostre teste.

 

Al contrario, il mondo in cui Dio ci chiama è il palcoscenico della salvezza possibile, dell’amore concreto che Dio ci manifesta in Gesù Cristo. Nonostante noi stessi e noi stesse. Amen.