La noia, ieri e oggi

Una riflessione a partire dalla canzone che ha vinto il Festival di Sanremo

 

 

Una coperta troppo corta, tirata verso un lato per lasciarne scoperto un altro, e così di seguito, in una sorta di fatica di Sisifo demitizzata e prosaica, esprimeva forse la noia, come concepita ad esempio da Alberto Moravia nel suo celeberrimo romanzo del 1960. Gesti vuoti, quasi automatici, ripetitivi, privi di senso: il trionfo della banalità.

 

Oggi spesso, specie i più giovani, sottolineano il vissuto a essa complementare: il vuoto. Ne sono testimone con il mio lavoro di psichiatra e di psicoterapeuta. Il vuoto e la noia: come dire, il concavo e il convesso. Entrambi caratterizzati dal non senso, da una dimensione deficitaria, da una mancanza, illusoriamente colmata, nel caso della noia, da gesti altrettanto vuoti, da azioni oziose, per dir così, da gusci vuoti. Per lunghi secoli – si pensi ad autori come Cartesio o Spinoza – le passioni, etimologicamente, erano concepite come frutto della passività: passività pronta a subire ogni stimolo, ogni spinta, a tradurre in movimento, in moto dell’anima i più diversi influssi esterni. Si immaginava che gli affetti invece partissero dall’interno degli esseri umani, per riversarsi all’esterno.

 

Ecco, sia la noia sia il “vuoto” esprimono passività senza passioni, passività inerte, piatta. E il testo della canzone di Angelina Mango, vincitrice a Sanremo 2024, rende bene tutto ciò. “Quasi quasi cambio di nuovo città” per esorcizzare la noia dà voce alla noia come gesto ripetitivo, al suo lato convesso (come tirare invano la coperta di qua e di là). “Muoio senza morire” o “Vivo senza soffrire” ne rendono invece l’aspetto concavo, il piattume, lo “zero assoluto”. “Quindi faccio una festa”, ovvero, più che ad agire, mi predispongo a subire emozioni, stati d’animo; come dire: a riceverli dall’esterno, dagli altri, dall’ambiente. Fossero anche stati d’animo negativi: “Muoio perché morire / Rende i giorni più umani / Vivo perché soffrire / Fa le gioie più grandi”.

 

E l’azione, l’atteggiamento attivo? Nel testo non mancano del tutto, compaiono in un suo passaggio: sempre al fine di scacciare la noia, “Allora scrivi canzoni? / Sì, le canzoni d’amore / E non ti voglio annoiare / Ma qualcuno le deve cantare”. Qui l’artista torna in sé, non più vuota né colma di noia; torna a scrivere e a cantare, a immaginare e a creare.

Qualche passo oltre e il credente (e non solo lui) si imbatte nella Passione per antonomasia, quella di Gesù: la quale però è l’espressione più alta dell’attività, non della passività.

 

Foto di Zdravko Petrov