
Lavoro, drammi quotidiani e cambiamenti culturali
1° maggio. La consapevolezza del ruolo del lavoro nella vita dei credenti, come ci ha insegnato la Riforma, continua a sollecitarci
La serie di date canoniche che percorrono i nostri calendari ci fanno correre ogni anno il rischio della retorica. Così è anche per il 1° maggio: ma come si potrebbe evitare di fare riferimento a una serie infinita di infortuni sul lavoro, molti dei quali mortali? Come tacere delle reiterate richieste di maggior sicurezza?
Un’ulteriore valenza viene data con la Giornata che da vent’anni ricorda le vittime dell’amianto: si celebra il 28 aprile, ed è stata istituita in coincidenza con la Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro: 1500 persone circa morirebbero ogni anno per mesotelioma, la malattia da esposizione professionale legata alla lavorazione dell’amianto. È solo una delle varietà di rischi professionali gravi e potenzialmente letali. Il mancato, o parzialmente mancato, rispetto delle norme di sicurezza in settori produttivi o di cantieristica fanno impennare il numero delle vittime ogni anno.
E questo è solo il livello dell’evidenza drammatica di ciò che attiene il lavoro. Poi c’è il lavoro che manca, il lavoro sede e occasione per vecchie e nuove prevaricazioni e abusi, in materia di genere e nell’impiego di migranti. Ma, ancora, c’è una dimensione culturale e antropologica che sta cambiando sotto i nostri occhi, che risulta come schiacciata dalle emergenze di cui sopra e che si presenta come fenomeno di lungo periodo, un po’ sfumato e impercettibile.
È la concezione del lavoro che sta cambiando al cambiare delle generazioni, particolarmente in Italia. Siamo un paese “anziano”, con una grande percentuale di persone ritirate dal lavoro, per le quali il lavoro stato è molto spesso la via per l’affermazione sociale e per la crescita: la crescita delle persone coinvolte, l’avanzamento sociale dei loro figli, e la crescita del Paese stesso. A ragione molti milioni di lavoratori e lavoratrici ne sono orgogliosi, anche quando il loro passato è stato segnato da condizioni di sfruttamento.
All’estremo opposto sono le generazioni che studiano o che muovono i primi passi in un mercato del lavoro abbastanza folle: privo di certezze, pervaso da forme di contratto provvisorie, quando non aleatorie. Giovani che vivono la non-corrispondenza tra gli studi compiuti, anche con ottimo profitto, e l’adeguatezza delle mansioni poi ricoperte. C’è disincanto, disillusione, voglia di studiare, a volte perfino troppo, perché i mezzi, anche tecnologici, lo permettono sempre più; ma si studia anche per rinviare l’ingresso in un mondo, quello dell’occupazione, per certi versi alieno.
Nel mezzo ci sono gli occupati: calano le grandi aziende, ma cresce l’esercito dei furgoni che trasportano merci, che, dopo l’impennata avuta con la pandemia, hanno modificato le modalità di acquisto di un po’ di tutto. Intanto nei settori-chiave dei servizi alla persona, la sanità e l’istruzione, ora chi vi opera deve fronteggiare l’aggressività e il livore delle persone che si trova di fronte: bullismo nei confronti di altri studenti ma anche degli insegnanti; quello che non fanno in classe, lo fanno a volte genitori rivendicativi, a volte violenti. E aumentano le violenze subite da medici e paramedici. Ci si lamenta di eventuali torti subiti, ma non si dà alla persona che si trova di fronte nemmeno la dignità di essere lì per svolgere il suo lavoro. Una volta questa dignità era riconosciuta. Quanti fattori hanno concorso a “deprezzare” a questo modo la consapevolezza del lavoro?
La Federazione delle chiese evangeliche in Italia dall’anno scorso dedica un’attenzione particolare al tema, in tutte le sue implicazioni, anche in alcune pubblicazioni: la più recente è il libro collettivo Il senso del lavoro oggi (a cura di I. Valenzi, Claudiana) e già l’anno scorso, in occasione della “Settimana della libertà”, era stata prodotta la pubblicazione Come cambia il lavoro. E l’etica del lavoro. Non solo: dal febbraio 2024 si stanno succedendo iniziative locali e convegni, come quello del Centro culturale protestante di Torino nel febbraio scorso e i due di cui abbiamo parlato ultimamente (n. 17, pp. 8 e 9): quello su povertà e lavoro, organizzato dalla Comm.ne esecutiva del IV Distretto al Servizio cristiano di Riesi, e quello ospitato al Centro “La Noce” di Palermo sui ruoli femminili nel mondo del lavoro.
Sono segnali, questi, dell’attenzione che le chiese evangeliche dimostrano per una problematica generale, vista nelle sue sfaccettature più rilevanti. La consapevolezza del ruolo del lavoro nella vita dei credenti, come ci ha insegnato la Riforma, continua a sollecitarci.