photo-2023-04-11-14-55-36

La detenzione amministrativa dello straniero

La detenzione amministrativa dello straniero nei centri per il rimpatrio in tutta Europa è un vacuum di diritto, una nuova istituzione totale, un rito di segregazione che avalla la mortificazione della dignità umana.

I reclusi, che subiscono il potere statale nella sua forma più invasiva e feroce, vengono spesso spinti alla disperazione e all’autolesionismo. Giudici non professionisti convalidano la detenzione di persone che non hanno commesso alcun reato.

A tutto ciò si aggiunge il paradosso dell’inefficienza: nonostante l’enorme impiego di denaro, per esempio in Italia appena il 50% delle persone trattenute viene rimpatriato.

Cosa attende gli stranieri dopo il trattenimento? Cosa può nascere dal rifiuto e dal risentimento? In quale pace può sperare una società che, in nome della sicurezza, sacrifica la libertà e la dignità dei più vulnerabili?

Proprio per tentare di dare risposte a queste domande, domani a Torino si terrà il terzo incontro (una formazione professionale per giornalisti aperta anche al pubblico) promosso dal nostro settimanale in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti del Piemonte e la Casa editrice Seb27. Alle 18 presso la Fondazione Fulvio Croce, Palazzo Capris, via Santa Maria 1.

«Per orientarsi nel presente» è il titolo scelto per il ciclo di quattro incontri. L’ultimo si terrà martedì prossimo alle 18 presso il Circolo della Stampa (palazzo Ceriana Mayneri).

Riflessioni aperte e analisi, che partiranno da due volumi: La malapena, sulla crisi della giustizia al tempo dei centri di trattenimento degli stranieri di Maurizio Veglio e Corpi reclusi in attesa di espulsione, sulla detenzione amministrativa in Europa al tempo della sindemia, a cura di Francesca Esposito, Emilio Caja, Giacomo Mattiello.

All’incontro gli interventi di Francesca Esposito, Monica Gallo, Monica Mastrandrea, Maurizio Veglio, Wisam Zreg, moderati da Gian Mario Gillio, giornalista di Riforma.

I due volumi:

Corpi reclusi in attesa di espulsione
La sindemia Covid-19 ha esacerbato le preesistenti ineguaglianze basate su costruzioni «razziali», di genere, di classe e di cittadinanza, sconfessando lo scenario iniziale per cui «di fronte al virus siamo tutti uguali». Il presente lavoro, che mette assieme i contributi di studiose e studiosi di diverse aree disciplinari, si sofferma sui centri di detenzione amministrativa per migranti, inserendo il contesto italiano in una prospettiva europea, così da mettere a fuoco l’evoluzione storica di queste «nuove» istituzioni totali, i meccanismi in gioco nel loro funzionamento, nonché cosa stia accadendo al loro interno in questo momento di emergenza sanitaria globale. Dall’analisi emerge una situazione di abbandono trasversale ai diversi contesti nazionali, negligenze e abusi da parte di autorità istituzionali e attori privati che collaborano con loro, dinamiche di funzionamento selettivo del sistema volte a riprodurre una gerarchia di merito della detenzione. Accanto alla violenza, tuttavia, i contributi raccolti in questo volume illuminano altresì le voci di dissenso, le azioni di solidarietà intente a squarciare il velo di opacità e isolamento attorno alle persone detenute, nonché gli atti di resistenza quotidiana, individuale e collettiva, che delineano come un’unica alternativa possibile l’abolizione di queste strutture di privazione della libertà e violazione della dignità umana.

Nel libro gli interventi di: Ana Ballesteros Pena, Mary Bosworth, Emilio Caja, Eleonora Celoria, Francesca Esposito, Giulia Fabini, Sunjay Gookooluk, Evgenia Iliadou, Annika Lindberg, Giacomo Mattiello, Sanja Milivojevic, Norbert Kreuzkamp, Elahe Zivardar, Martina Tazzioli.

La malapena
Non è un carcere, ma per chi lo subisce è peggio. La detenzione amministrativa dello straniero nei centri per il rimpatrio (Cpt, Cie, Cpr) è un rito di segregazione, un atto di apartheid che avalla la mortificazione della dignità umana. Mentre sperimentano il fallimento del proprio progetto migratorio, i reclusi subiscono il potere statale nella sua forma più invasiva e feroce. Qui deflagra una violenza a grappolo: contro il diritto, che autorizza giudici non professionisti a convalidare la detenzione di persone che non hanno commesso alcun reato; contro i corpi, esposti alla tentazione dell’autolesionismo; e contro i luoghi stessi, bersaglio della rabbia dei segregati e di un continuo maquillage giuridico e materiale. E poi c’è il paradosso dell’inefficienza: nonostante l’enorme impiego di denaro, appena il 50% delle persone trattenute viene rimpatriato. Cosa attende gli stranieri dopo il trattenimento? Cosa può nascere dal rifiuto e dal risentimento? In quale pace può sperare una società che, in nome della sicurezza, sacrifica la libertà e la dignità dei più vulnerabili? Un viaggio nei Cpr, ferita della legalità e delle garanzie civili, obbrobrio giuridico del nuovo millennio.