Armi in crescita, pace in crisi?
Il rapporto SIPRI 2024 mostra un’industria delle armi in forte crescita e pone alla Chiesa l’urgenza di un impegno di pace
Il nuovo rapporto del SIPRI (Istituto per la ricerca sulla Pace di Stoccolma) fotografa un mondo che continua a investire nella logica della forza.
Nel 2024, i cento maggiori produttori di armamenti hanno raggiunto un fatturato complessivo di 679 miliardi di dollari, l’aumento più alto mai registrato dall’istituto svedese dal 2002 a oggi.
Un incremento del 5,9% in un solo anno, che si traduce in linee di produzione ampliate, stabilimenti nuovi, acquisizioni e un ritmo industriale che non mostra segni di rallentamento.
Per le Chiese, che cercano nella storia i segni del Regno e della giustizia di Dio, questi numeri non sono semplici statistiche: sono una domanda scomoda e aperta su come il mondo costruisce la propria sicurezza e dove la ripone.
Crescita globale, ferite globali
L’aumento delle spese militari appare trasversale.
Le aziende statunitensi hanno raggiunto un totale di 334 miliardi di dollari, con una crescita del 3,8%, pur tra sforamenti di bilancio e ritardi nei principali programmi militari.
Il quadro europeo mostra un’accelerazione ancora più evidente: il fatturato complessivo ha raggiunto i 151 miliardi di dollari, con un balzo del 13%.
Particolarmente significativo è l’aumento delle quattro aziende tedesche presenti nel rapporto, passate da 10,7 a 14,9 miliardi di dollari, pari a un incremento del 36%.
Per le aziende italiane, invece, nella top 100 ne rientrano due che arrivano ad un fatturato di 16,8 miliardi di dollari, con un aumento del 9,1% rispetto all’anno precedente.
La Russia, nonostante le sanzioni internazionali, registra una crescita del 23%, raggiungendo 31,2 miliardi di dollari, sostenuta da una forte domanda interna.
Il Medio Oriente entra nella classifica con ben nove aziende, per un totale di 31 miliardi di dollari. Le aziende israeliane, al pari di quelle italiane, crescono del 16%.
In Asia il quadro è più diversificato: la Cina arretra del 10% a causa di scandali e ritardi, mentre il Giappone cresce del 40% e la Corea del Sud del 31%, trainati da esportazioni e ordini europei.
Il risultato complessivo segnala una tendenza chiara: mentre le società chiedono sicurezza, gli Stati rispondono accelerando il riarmo.
A cosa guarda la nostra fede?
La tradizione luterana conosce bene le contraddizioni del mondo.
Non indulge in facili ammonimenti, in dichiarazioni di principio e non ignora le responsabilità degli Stati.
Tuttavia, davanti a questi dati, la riflessione teologica, non semplice, invita a interrogare in profondità la logica che guida le scelte politiche ed economiche delle nostre società
Il documento della EKD “Welt in Unordnung – Gerechter Friede im Blick” (Un mondo in disordine – Una pace giusta in vista) ricorda che la pace non nasce esclusivamente dall’equilibrio delle forze, ma dalla ricerca costante di giustizia.
È un appello a non lasciarsi sedurre dalla retorica della potenza e dalla dimostrazione muscolare delle armi come unica risposta possibile alle paure del tempo.
Come luterani avvertiamo il richiamo alla responsabilità personale e comunitaria: nessun potere, nessun arsenale, nessuna economia può diventare un idolo.
La dignità della vita umana e l’impegno verso la riconciliazione rimangono punti non negoziabili.
Una responsabilità ecclesiale partecipata
In un contesto in cui la spesa militare aumenta in Europa oltre che in Italia, la nostra testimonianza assume quindi un valore specifico.
Le Comunità luterane possono offrire un punto di vista alternativo, capace di mantenere viva la domanda etica e di sostenere percorsi educativi orientati al dialogo, alla giustizia e alla non violenza.
La costruzione della pace non avviene solo attraverso i trattati internazionali, ma attraverso una ampia partecipazione anche delle Chiese nella diffusione di una cultura dell’ascolto e del rispetto.
Seppure con risorse limitate, le Chiese possono diventare laboratori di convivenza e dialogo: spazi in cui non prevale il linguaggio della paura, la risposta d’odio, la prevaricazione, ma la mitezza della dignità.
Custodire la speranza, nonostante tutto
Il rapporto SIPRI non chiude il discorso sulla pace. Lo rilancia.
E costringe a un discernimento più profondo.
Interpretando la pace come un processo, non come un sentimento: un impegno storico che richiede lucidità, perseveranza e la capacità di resistere alla normalizzazione della violenza.
Le Chiese, quindi, custodiscono una visione: la convinzione che la giustizia sia possibile e che la riconciliazione non sia un’illusione.
Questo sguardo — radicato nel Vangelo — può diventare un contributo potente ed essenziale in un tempo che privilegia la forza.
Il Vangelo ricorda che la sicurezza non deriva dagli arsenali ma dalle relazioni, dalla giustizia, dalla dignità riconosciuta ad ogni persona.
Ed è proprio questo impegno che integra la missione delle Chiese a preservare e rendere visibile una pace che osa sperare contro speranza.