La Chiesa come luogo di protezione e aiuto

Una riflessione sul 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

 

Intorno alla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, mi pare che siano emersi quest’anno due temi: la (ir)rilevanza di un corpus giuridico internazionale a tutela delle donne che non è di per sé sufficiente in quanto sono necessari investimenti per la prevenzione e l’importanza dell’educazione sessuo-affettiva tra i giovani. Se ne è parlato anche in alcune chiese, in eventi organizzati insieme alle amministrazioni pubbliche. Ad esempio, il 1 novembre la Chiesa valdese di Verona ha proposto una conferenza sui diritti (negati) delle donne a cui hanno partecipato giornaliste e esperte di diritti umani mentre il 24 novembre in Chiesa valdese a Pinerolo (To) si tiene una conferenza sui corridoi umanitari femminili, con la presentazione del libro Libere da, libere di (Vita e Pensiero 2025) curato da Cristina Pasqualini e Fabio Introini, docenti di Sociologia generale all’Università Cattolica e membri del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, che ha promosso e realizzato la ricerca di cui il volume è il report, con interviste a venti rifugiate che nel loro transito verso l’Europa hanno sperimentato abusi e violenze. 

 

Dando voce al loro percorso migratorio, la sociologia e l’antropologia culturale entrano in dialogo con la vita vissuta, per riflettere criticamente sui modelli dell’inclusione. Il divario di genere, secondo un approccio intersezionale, viene capovolto a favore di un’integrazione che trovi nell’ascolto delle persone e nell’accesso all’istruzione un riscatto per costruire percorsi di libertà delle donne, in relazione ai determinismi della storia, della cultura, della società. L’interazione tra rifugiate e società di accoglienza avviene però secondo processi di reciproca trasformazione, diventando così un’occasione di apprendimento per gli uni e per le altre. Si impara insieme.

 

Vale la pena ricordare – in un tempo in cui il diritto umanitario internazionale è calpestato quotidianamente – che la Dichiarazione di Pechino (1995), trent’anni fa, ha riconosciuto i diritti delle donne come diritti umani e ha introdotto i diritti fondamentali della persona, dichiarando di voler perseguire gli obiettivi di uguaglianza, sviluppo e pace per tutte le donne, in qualsiasi luogo e nell’interesse dell’intera umanità, ascoltando le voci di tutte le donne nella loro diversità: è ancora una pietra miliare per l’equità di genere. Sulla prevenzione della violenza, la Convenzione di Istanbul (legge 27 giugno 2013, n. 77) è uno strumento giuridicamente vincolante che stabilisce un chiaro legame tra la parità dei sessi e l’eliminazione della violenza contro le donne. Oggi è ampiamente dimostrato che le leggi sulla violenza domestica riducono la violenza nelle relazioni di coppia. Tuttavia, la loro applicazione rimane una sfida, con lacune nella protezione legale completa e nei servizi di supporto alle sopravvissute. Mancano inoltre gli investimenti per la prevenzione e l’educazione sessuo-affettiva per i minori. Nel recente dibattito pubblico se ne parla molto, ma è solo attraverso un’alleanza tra scuola e famiglia che si può impostare un programma formativo verso il rispetto degli altri.

 

Il cammino intrapreso dalla Chiesa valdese ha portato a un’ampia riflessione sulle famiglie al plurale con l’approvazione in Sinodo del Documento famiglie (2017), ma è soprattutto con le Linee guida per la tutela dei minori e la prevenzione dell’abuso, che la riflessione sulla violenza domestica si è approfondita in un apposito documento. La premessa teologica, secondo cui Gesù annuncia il regno di Dio e la vita in pienezza per tutti e tutte (Mt 18,1-14), porta a considerare la Chiesa come un luogo di protezione e aiuto per chi non può difendersi o non ha i mezzi per esigere rispetto e dignità. Si è data priorità alla prevenzione di comportamenti inadeguati e alla fiducia per imparare a cogliere per tempo i segnali di sofferenza e di disagio.

 

A livello europeo, la Comunione di chiese protestanti in Europa ha promosso il documento Genere, sessualità, matrimonio, famiglia (2025) che esplora come le teorie su genere e sessualità si riflettono nel dibattito teologico e nella società, nelle differenze etiche e teologiche ma anche nei rapporti tra le diverse chiese, secondo un’etica del disaccordo o accordo differenziato. In particolare, ampio spazio è stato dato al confronto interdisciplinare. Ritengo che solo un approccio integrato consenta di approfondire questi temi, in particolare quello della violenza domestica che è un problema serio perché le conseguenze degli abusi sono di lunga durata. Ed è ancora più grave se ciò avviene in chiesa o in famiglia. Negare o non riconoscere il fenomeno degli abusi e delle molestie può avvalorare un clima in cui queste forme di cattiva condotta possono proliferare.

 

È difficile definire il fenomeno, ma un aspetto è chiaro: c’è abuso quando non c’è consenso esplicito e libero, a maggior ragione quando la relazione è impari o quando vi sia violazione dell’integrità personale. Le chiese sono luoghi particolari, con relazioni basate sulla fiducia che, se infranta, crea ferite profonde. Anche nella società, occorre prevenire qualsiasi forma di abuso e di violenza con gli strumenti della formazione e dell’educazione sessuo-affettiva, affinché la partecipazione attiva delle donne, la loro autodeterminazione nella riproduzione e nell’indipendenza economica, diventino obiettivi di tutta la società, donne e uomini insieme.

 

Da www.chiesavaldese.org