
L’evangelo che trasforma le nostre vite
Si è svolto a Brisbane, dal 9 al 12 luglio il 23° Congresso dell’Alleanza battista mondiale. Il racconto del pastore Alessandro Spanu
«Vivere l’evangelo, perché non basta sapere che c’è una buona notizia, è necessario vivere l’evangelo di Gesù e sperimentare come esso trasformi le nostre vite». Questo il tema del 23° Congresso dell’Alleanza battista mondiale (Bwa): un incontro coloratissimo, partecipato da donne e uomini provenienti da tutto il mondo, soprattutto dall’Asia. Quattromila battiste e battisti si sono incontrati dal 9 al 12 luglio a Brisbane, Australia. Il Congresso dell’Alleanza battista si svolge ogni cinque anni ed è un evento che celebra la pluralità e l’unità del battismo mondiale. L’Alleanza battista mondiale è una comunione cristiana fondata nel 1905 che raccoglie 53 milioni di persone da 134 paesi e 178.000 chiese: una comunione plurale, ricca e dialettica. Un popolo del patto, com’è stato più volte affermato.
Le immagini dell’oceano, del deserto e della natura australiana rigogliosa e sfidante, accompagnate da un canto tradizionale, dal didgeridoo (strumento a fiato tipico delle popolazioni aborigene del nord dell’Australia) e dalla danza liturgica hanno aperto il Congresso. Elijah Brown, segretario generale della Bwa, ha rivolto una chiamata a una missione globale in vista del 2033: anniversario – seppure convenzionale – della nascita della Chiesa. La missione si chiama «Il movimento di Atti 2». Prendendo le mosse da Atti 2, 41-47, Brown ha invitato le Chiese a impegnarsi affinché la Bibbia sia tradotta in ogni lingua del mondo, affinché ogni battista s’impegni a dare la propria testimonianza personale almeno una volta l’anno, a prestare intenzionalmente aiuto a chi è nel bisogno, a prendersi cura delle persone vicine, ad affermare insieme agli altri cristiani la libertà di culto per tutti e per tutte. Cinque impegni affinché tutti e tutte abbiano l’occasione di ascoltare l’evangelo.
A partire da questo invito si è snodato il Congresso. Molti, infatti, sono i modi con i quali l’evangelo è predicato e testimoniato dalle battiste e dai battisti e questa pluralità è stata rappresentata dall’agenda del Congresso e dalle molte voci che sono risuonare in esso. Ogni giornata è stata aperta e chiusa da un culto che ruotava attorno a due momenti principali: la musica, il canto e le predicazioni. Le prime, condotte da uno straordinario gruppo musicale, le seconde hanno intenzionalmente indicato degli orientamenti teologici. Il resto della giornata prevedeva la scelta tra un numero molto grande di laboratori e studi biblici. Celebrare ha significato cantare, ascoltare, pregare, pensare e discutere insieme.
Se la predicazione di apertura di Elijah Brown poteva fare sospettare che la chiamata alla missione si esaurisca nell’impegno individuale, il Congresso nel suo insieme ha posto in evidenza che la missione ha una dimensione integrale e riguarda ogni sfera dell’esistenza: quella personale e quella sociale, emotiva e politica, individuale ed economica. Lo stesso Brown, denunciando i tagli del governo americano agli aiuti internazionali, ha affermato che «le ferite di Gesù sono sufficientemente profonde da guarire le ferite di questo mondo. Coloro che seguono Gesù hanno il dovere di farsi carico delle ferite del mondo. Perché accogliendo il dolore del mondo, incontreremo la guarigione portata dalla risurrezione di Gesù». Le predicazioni di Jennifer Lau e di Marsha Scipio hanno approfondito che cosa significhi che la missione guarda al mondo e non si sottrae alle sue sfide.
Jennifer Lau ha affermato che la libertà cristiana è costosa: essa è un dono di Dio che si esplicita nel servizio di tutte e tutti. Lau ha denunciato l’autoritarismo politico che genera sofferenza; ha affermato che non possiamo seguire Gesù sofferente se non ci occupiamo della sofferenza degli altri. L’attuale contesto politico internazionale, segnato da una profonda incertezza, dice che la libertà non è scontata; è un compito che dobbiamo svolgere perché nessuno è libero finché non siamo tutti liberi. Una libertà che scaturisce dalla chiamata a non essere indifferenti; a essere personalmente trasformati per servire e amare profondamente senza riserve Dio e il nostro prossimo.
Marsha Scipio ha invitato il Congresso alla franchezza evangelica (2 Corinzi 7, 4-11). In tempi rischiosi, caratterizzati da guerre, estrema povertà, violenza – in particolare contro le donne – le chiese devono parlare con franchezza come fecero Amos e Isaia. Scipio ha invitato le Chiese a non retrocedere di fronte alle minacce della teologia della prosperità e del messianesimo nazionalista.
Momento apicale del Congresso è stata la consegna del premio dell’Alleanza mondiale battista per i Diritti umani a Sano Vamuzo, donna indiana del Nagland che ha promosso l’istruzione per le bambine e i bambini dei villaggi rurali, ha svolto un ruolo cardinale nella denuncia delle violenze contro le donne e nel promuovere la loro educazione in una società fortemente patriarcale.
Ricchissima l’offerta degli studi biblici e dei laboratori, dalle sessioni di omiletica con Rick Warren al laboratorio sulla giustizia riparativa in contesti razzisti, dall’approfondimento sul Credo di Nicea a come le donne hanno cambiato il volto della missione. Dal laboratorio su arte e culto a quello sulla violenza domestica e la responsabilità delle Chiese. Solo per fare alcuni esempi.
Dunque, un’esperienza veramente stimolante. Peccato per una presenza ecumenica un po’ sfocata e l’afasia della Federazione battista europea. L’ Europa si presenta come il continente nel quale la decrescita dei battisti e delle battiste è più marcata, il continente ferito dalle guerre in Ucraina e a Gaza. Purtroppo, non una parola è stata pronunciata su questi conflitti e sulla costruzione della pace. Abbiamo pregato insieme agli ucraini e ai russi, ma non siamo stati capaci di esprimere una parola franca, libera e impegnativa come pure eravamo stati invitati a fare.
Il Congresso si è chiuso con una vibrante predicazione su Romani 1, 16s., con la Cena del Signore e la promessa di incontrarci tra cinque anni in Europa. Con l’impegno di tradurre nel contesto italiano la missione di Atti 2 e viverla insieme.
Alessandro Spanu è presidente dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia