Bordi e orizzonti di un matrimonio

A cinquant’anni dal Patto di Integrazione con le chiese valdesi, l’annuale Consultazione si è interrogata sull’identità metodista italiana

 

Nel cinquantenario del Patto di Integrazione fra chiese metodiste e valdesi, l’annuale Consultazione metodista (23-25 maggio al Centro «Ecumene» di Velletri, Rm) non poteva non dedicarsi alla portata di quella scelta. Già nel convegno per i 30 anni era stato definito non a caso “matrimonio”, e sabato mattina il prof. Giancarlo Rinaldi nella sua relazione sull’eredità wesleyana in Italia ha richiamato il termine per sottolineare il legame anche “affettivo” tra le due denominazioni, al di là della connotazione tecnico-giuridica del termine Integrazione.

 

Rinaldi ha tenuto a sottolineare la matrice wesleyana del metodismo italiano, colpita da una «perniciosa rimozione storiografica» che solo studi recenti hanno smantellato, e ha ricordato, pensando alla multiforme galassia evangelica, che la maggior parte degli evangelici italiani sono “figli di Wesley“. 

Nella mattinata, quindi, sono state passate in rassegna alcune parole chiave della “dote” che la componente metodista ha portato con sé in questo matrimonio in cui si sono intrecciate, come hanno sottolineato alcuni interventi nel vivace dibattito che è seguito alla relazione, anche le teologie (al plurale!) barthiane portate dal “coniuge” valdese: eredità (nel senso di Legacy piuttosto che di Heritage, ha sottolineato Rinaldi, eredità spirituale, non materiale); e poi due cardini della teologia metodista, purtroppo spesso mal compresi, salvezza e santificazione, che parlano di un processo, non di un singolo momento, verso lo «sradicamento del proprio ego dal trono», ha detto Rinaldi, per passare dalla teoria all’esperienza, a una «santificazione sociale», che si traduce nel ben noto impegno nel mondo (non una semplice solidarietà o beneficenza), non in un «essere privo di difetti o di peccato».

 

Infine, identità, il termine più problematico, se definito in contrapposizione e con senso di chiusura, è stato detto usando più volte, per contro, il concetto di osmosi, in cui la commistione tra due fluidi avviene nonostante le “membrane” che le separano, portando alla nascita di qualcosa di nuovo.

Innegabilmente, il processo di integrazione è stato accidentato e tortuoso, ha suscitato un dibattito anche a livello “popolare”, come ricostruito nel pomeriggio dal prof. Paolo Naso. Ribadendo l’apporto non abbastanza valorizzato dei metodisti italiani, in particolare riguardo a un impegno organico nella “questione meridionale”, una diversa dottrina dello Stato e della presenza in esso come “componente”, non “minoranza”, una spiritualità incarnata e la specificità delle relazioni con il mondo anglo-americano, Naso ha richiamato anche i luoghi comuni più duri a morire, come il movente economico dell’Integrazione, o la carenza di spessore teologico e formazione pastorale.

 

In effetti, stante che l’integrazione fra chiese metodiste e valdesi è stato ed è un esperimento raro, ammirato anche a livello internazionale, che ha realizzato almeno in parte il sogno delle chiese evangeliche di fine Ottocento di creare una denominazione unica, in questa Consultazione si è parlato molto anche di pregiudizi, di contrapposizioni, di barriere, come ferite che, almeno per qualcuno, bruciano ancora.

“Sassolini nelle scarpe” sentiti forse più dalle generazioni che hanno vissuto questo passaggio, che dalle successive, figlie di una realtà sempre più eterogenea, che hanno sperimentato a partire dalla Fgei, Federazione giovanile (ma anche nella Fcei, Federazione delle chiese evangeliche, nella Fdei, Federazione delle donne evangeliche, nei comuni organi di stampa) l’”essere chiese insieme” non solo tra metodisti e valdesi, ma anche con i battisti, e oltre, tra persone con background geografici, culturali e spirituali diversissimi. 

 

Un’eterogeneità che può essere difficile gestire, si è detto, ma che è anche la nostra ricchezza, perché significa pluralità. Facendo sì che il Patto, a cinquant’anni di distanza, sia ancora un cantiere attivo, che va sempre attualizzato e soprattutto, ha sottolineato il dibattito, pensato nei contesti locali, ciascuno con le proprie difficoltà e opportunità. Molte chiese locali hanno superato la distinzione denominazionale, e si sentono semplicemente chiese evangeliche e protestanti, con radici composite.

 

In questo incontro, di carattere non decisionale ma di confronto, conclusosi con il culto di Rinnovamento del Patto (ovviamente non quello di Integrazione, ma il patto fra il singolo credente e Dio, un momento liturgico tipico della tradizione metodista  che ha sicuramente arricchito la nostra Unione di chiese), il Comitato permanente ha presentato anche una breve relazione sul suo operato, inclusa la parte finanziaria, con un focus sulle contribuzioni, le ricerche storiche sul metodismo (a cura del Cdm – Centro di documentazione metodista) e il tema dei rapporti internazionali, che ha suscitato molto interesse. Ci sono stati altri due momenti molto apprezzati: la presentazione del volume di prossima pubblicazione per Claudiana, scritto dal past. Nicola Tedoldi e da Agnieszka Goclowska, che racconta ai bambini il Patto di Integrazione, e la serata musicale (chiamarlo concerto sarebbe riduttivo) in cui il coro Voices of grace diretto dal m° Alberto Annarilli, circa 35 elementi, ha condotto i presenti in un viaggio spirituale attraverso la musica, coronato dal canto collettivo di We shall overcome, che possiamo pensare come slogan per i prossimi 50 anni di questo matrimonio i cui componenti cambieranno di sicuro ancora molto.

 

Nel prossimo numero, dedicheremo uno spazio ad alcuni approfondimenti sulla Consultazione.