Il viaggio nella storia di Elias tra memoria e identità.

In libreria il romanzo “Patrilineare”, l’esordio letterario del musicista Enrico Fink

 

Forte della menzione speciale del direttivo del “Premio Calvino 2024” è arrivato nelle librerie italiane il romanzo Patrilineare. Una storia di fantasmi (Lindau, 2025), opera prima di Enrico Fink, compositore, flautista, ricercatore delle tradizioni musicali ebraiche italiane, autore di testi teatrali.

 

Fin dalla prima pagina entrano in scena i grandi interrogativi della libertà e della trasmissione della memoria. Ci ricorda Fink che nell’haggadà recitato in famiglia nella Cena della Pasqua ebraica compaiono quattro figli: il Cattivo, il Semplice, il Sapiente e Quello-che-non-sa-neanche-far-domande. Più che darci un prologo, l’autore gioca a carte scoperte e offre la chiave d’accesso alle profondità della storia. Quattro figli dell’haggadà come le quattro figure maschili cruciali che strutturano tutta la parabola narrativa: il capostipite russo di terra ucraina Benziòn, cantore della comunità ebraica di Gorizia e poi Ferrara, suo figlio Isacco (detto Isidoro), il nipotino Guido e infine, nostro contemporaneo, il giovane flautista Elias (figlio di Guido), l’alter ego dell’autore. Il romanzo Patrilineare è la storia dei Fink, “dei sommersi e dei salvati” della famiglia, al tempo cupo, devastato e vile della furia nazifascista. In fuga dai pogrom di epoca zarista di inizio ’900, si stabilirono a Ferrara ma nel 1944 furono deportati e uccisi ad Auschwitz. Si salvarono dai rastrellamenti soltanto il piccolo Guido (che diventerà noto critico di cinema, docente universitario) e sua madre Laura Bassani (moglie di Isidoro).

 

Ricco di succulenti rimandi letterari (le pagine di Giorgio Bassani dedicate al matrimonio di Isacco e Laura), psicoanalitici e di cultura cinematografica e techno pop, con sviluppi della trama non scontati, toccanti e oltremodo spiazzanti, il romanzo familiare di Enrico Fink è una operazione a cuore aperto su due temi fondanti e correlati: da un lato, la questione dell’identità ebraica, dall’altro l’istanza della memoria. Non sfugge la paradossalità della scelta di affrontare il tema dell’identità ebraica nella prospettiva “patrilineare” a fronte della più “canonica” trasmissione matrilineare della stessa. Eppure la soluzione di proiettare la domanda sull’identità verso l’orizzonte della decisione e del divenire ha prodotto un potente, ancorché sapiente, intreccio di registri narrativi (dal drammatico alla commedia) passaggi di scenari (dal reale all’onirico), salti temporali, pagine autoironiche o episodi conditi di un caustico, a volte amaro umorismo, in una combinazione davvero efficace nel tenere il lettore in una costante e interrogativa tensione.

 

È anche un romanzo sulla memoria e sul rapporto tra questa e il fondamento dell’identità, e in particolare della memoria del giovane flautista Elias: la necessità di ricordare irrompe prepotentemente come necessità nell’affrontare l’ombra oscura e fantasmatica che lo perseguita dal giorno in cui, invece di partecipare al funerale di sua nonna Laura Bassani, Elias ha accettato l’ingaggio per suonare in una discoteca avveniristica, psichedelico tempio dell’oblio. Risuona il pensiero di Oliver Sacks quando scrisse che «Si deve cominciare a perdere la memoria (…) per capire che in essa consiste la nostra vita» (cit. da D. Demetrio, Raccontarsi, R. Cortina, 1996). A beneficio di tutte e tutti, Enrico Fink sembra rilanciare la lezione universale del grande Philip Roth: «essere vivi (…) è essere fatti di ricordi: (…) se un uomo non è fatto di ricordi, è fatto di niente» (P. Roth, Patrimonio, Einaudi, 2007) ma con tutta la saggezza di nonna Laura quando dice: «bisognerebbe trovare un equilibrio fra quello che ci si ricorda e quello che si dimentica. Tenere una distanza fra i morti e i vivi. Spero tanto che tu ci riesca, bambino mio» (p. 366).

 

* Enrico Fink, Patrilineare. Una storia di fantasmi. Torino, Lindau, 2025, pp. 383, euro 21,00.