Le prime parole di Adamo ed Eva

La “lingua dell’innocenza” e la sua fragilità nell’ultimo libro di Giampiero Comolli

 

L’ ultimo lavoro dello scrittore e giornalista Giampiero Comolli* parte da un desiderio: conoscere “la lingua dell’innocenza”, la lingua parlata nel giardino dell’Eden da Adamo ed Eva, desiderio alimentato anche da alcuni episodi accaduti nella sua vita. Per soddisfare questo desiderio, l’autore si è misurato con il racconto dei primi tre capitoli della Genesi, dove sono narrate: la creazione del mondo, la creazione del giardino, la creazione del primo uomo e della prima donna, la loro vita nel giardino dell’Eden e poi la cacciata e la perdita del giardino. Una storia straordinaria che ha affascinato la cultura occidentale al punto da dar vita a molteplici e suggestive raffigurazioni e interpretazioni del racconto dell’Eden.

 

Con acume, chiarezza e originalità, che sono cifra del suo pensiero e della sua scrittura, Comolli offre una sua reinterpretazione di questa narrazione e, commentando versetto per versetto i primi tre capitoli della Genesi, conduce per mano chi legge a capire le caratteristiche di quella che lui chiama la lingua dell’innocenza. Ma che tipo di linguaggio è? Da questa prima domanda è nata una interessante conversazione con l’autore, di cui riportiamo qui – per ragioni di spazio – alcuni passaggi.

 

«Prima di tutto è una lingua donata da Dio che parla e che, attraverso la sua parola, dà inizio alla creazione del mondo. Da alcuni brevi indizi presenti nelle prime pagine della Scrittura possiamo dire che i nostri progenitori avevano una loro lingua che definisco “lingua dell’innocenza”. Il primo uomo e la prima donna, immersi nella perfezione della creazione, godevano di un mondo dove avevano consapevolezza di che cosa fosse il bene, mentre ancora non avevano conoscenza del male. Allora come è fatta una lingua che ha consapevolezza soltanto del bene e non del male? A partire dal testo biblico dico che era una lingua capace di ascolto, perché è Dio che parla per primo all’essere umano capace di ascoltare e accogliere la Sua parola; era una lingua della cura, fatta di gesti premurosi verso il giardino che viene affidato all’essere umano perché lo custodisca; sappiamo che era una lingua dell’osservazione attenta e acuta, dal momento che l’essere umano  riceve da Dio il compito di dare il nome giusto a ogni animale; era anche una lingua del silenzio, non come forma di sottomissione, ma come apertura verso significati inediti che ancora non si erano manifestati; era anche una lingua della verità, capace di narrare gli eventi senza inganni, distorsioni: quando, a esempio, il serpente insinua il sospetto, dicendo che Dio ha ordinato di non mangiare di “nessun” albero del giardino, la donna risponde dicendo la verità: Dio ha detto di poter mangiare tutti i frutti del giardino tranne uno. A questo punto si può capire il punto debole della lingua dell’innocenza: è una lingua che non ha strumenti per opporsi al male e quindi quando il male si presenta, questa lingua non ha capacità di resistenza e si dissolve».

 

– Tra le caratteristiche del linguaggio edenico descritte, qual è risuonata maggiormente in lei?

«La purezza: la lingua di Dio è una lingua pura, a differenza della nostra che è piena di scorie, ambigua, intrisa di bene e di male. Oggi soffriamo un degrado del linguaggio: la nostra è una lingua della malevolenza, dell’odio, della prepotenza, del turpiloquio, una lingua degradata, in cui le parole diventano facilmente offensive, segnate da una intenzione maligna di turbare la creazione di Dio. Essendo immersi in un linguaggio impuro, mi ha colpito la purezza della lingua edenica, peraltro perduta».

 

– Nella conclusione del libro, afferma che svanita la lingua dell’innocenza, nei tempi della Nuova Gerusalemme ci sarà un linguaggio nuovo… 

«Parlo della “lingua della redenzione”, nata dal passaggio attraverso il peccato, la sofferenza e la morte. A differenza della lingua pura delle origini, persa per sempre, la lingua della redenzione è segnata dalla consapevolezza della fragilità umana e della necessità di salvezza. Essa si dispiegherà in tutta la sua pienezza alla fine dei tempi come linguaggio inaudito, salvifico, reso possibile dal fatto che “non ci sarà più nulla di maledetto”».

 

– E oggi, come discendenti di Adamo ed Eva, quale lingua dovremmo parlare? 

«Il linguaggio che Dio stesso ci offre attraverso la Scrittura, perché essa nel suo insieme – Antico e Nuovo Testamento – ci insegna come dobbiamo parlare, come possiamo ascoltare, ci insegna una lingua della giustizia e della misericordia, termini che ricorrono più volte per caratterizzare proprio l’identità di Dio. La lingua edenica è andata perduta, ma possiamo ascoltare la voce di Dio nella Bibbia, che ci indica il cammino della vita e della liberazione dalle catene che noi stessi costruiamo per opprimere noi e gli altri. In effetti tutta la Scrittura può essere considerata come un lungo e magnifico apprendimento per imparare a conoscere la lingua di Dio, ad ascoltare la sua Parola, e anche a trovare le parole con cui possiamo rivolgerci a Lui, come nei Salmi. In questo senso, possiamo vedere la Bibbia come una specie di “corso intensivo linguistico”». 

 

Il libro di G. Comolli sarà presentato martedì 25 febbraio alle 18 alla libreria Claudiana, via P. Tommaso 1, Torino. Dialoga con l’autore Graziella Graziano.

 

* Giampiero Comolli, Le prime parole di Adamo ed Eva. La lingua dell’innocenza nel Giardino dell’Eden. Torino, Claudiana, 2024, pp. 216, euro 24,00.