
Le molte mani sul Congo
Nella Repubblica Democratica da anni perdura una guerra in buona parte nascosta. Con il pastore valdese Jean-Félix Kamba Nzolo cerchiamo di capirne storia e motivazioni
«Ci accorgiamo del Congo, e dell’Africa in generale, quando un conflitto esplode in maniera drammatica, per poi dimenticarcene il più presto possibile. Le ragioni delle violenze hanno però radici profonde e le tensioni, le guerre, sono continue da decenni. E le conseguenze riguardano il mondo intero, anche se pensiamo, e proviamo a convincerci, che non sia così». Ha ragione il pastore valdese Jean-Félix Kamba Nzolo, originario proprio della Repubblica democratica del Congo: i nostri mezzi di comunicazione per lo più peccano di spazi di analisi sulla ampia e complessa situazione geopolitica del continente africano, per poi accendere i fari nei momenti di più intensa drammaticità.
Eppure, dal 1998, si stima che oltre sei milioni di persone siano state uccise solo nel conflitto per il possesso delle terre appartenenti alla Repubblica democratica del Congo, al confine con il Ruanda. Dove nel 2021 abbiamo visto morire ammazzati il nostro ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Miliambo. Erano lì per conto della missione Onu che da decenni tenta di stabilizzare la regione, fra mille difficoltà. Le indagini sulla tragica vicenda sembrano completamente arenate.
I fari dell’informazione si sono riaccesi proprio in queste settimane, quando abbiamo imparato a conoscere sigle come M23, «gruppo paramilitare – ci spiega il pastore Nzolo – sostenuto con armi e denaro dal vicino Ruanda per destabilizzare l’area al confine fra le due nazioni». Si tratta della zona del Kivu, dove sono concentrate le più imponenti risorse mondiali di minerali e terre rare, coltan e cobalto soprattutto. Il Ruanda a sua volta accusa il Congo di sostenere milizie antigovernative nel suo territorio e di ospitare i responsabili del genocidio ruandese del 1994.
«Per evidenziare con chiarezza come siamo arrivati a questa situazione – prosegue Nzolo – è sufficiente fornire un dato: Il Ruanda in questi ultimi anni ha quasi sempre superato il Congo nelle quantità di coltan esportato. Ma il Ruanda non ha praticamente miniere, che sono tutte invece in territorio congolese. Varie relazioni delle Nazioni Unite hanno evidenziato come moltissimi Stati acquistino dal Ruanda questo e altri minerali, fondamentale per i nostri computer e i nostri telefoni, e per un’infinità di altre applicazioni, perché lo pagano meno, senza porsi troppe domande sull’origine». Ma per l’appunto si tratta di materiali ottenuti con contrabbando e soprattutto attraverso la violenza di spietati gruppi armati.
«Il controllo dei minerali e delle materie prime necessarie sostanzialmente al funzionamento di tutti i dispositivi tecnologici in costruzione fanno di questa regione una delle più strategiche dell’intero pianeta. Diversi analisti rimarcano da tempo come il controllo di tali giacimenti sia fondamentale e non mancano di indicare proprio il Congo come possibile pomo della discordia da cui potrebbe scaturire addirittura una terza guerra mondiale – ci dice ancora il pastore della Chiesa valdese di Torino –. Per cui i grandi gruppi commerciali hanno tutto l’interesse a mantenere questa grande instabilità, che consente di fare affari senza stare troppo a preoccuparsi di come vengano attuati». Il Congo è un gigante dai piedi di argilla, minato dalle azioni terroristiche di gruppi militari spesso di origine straniera, ruandese in particolare, il cui regime gode dell’appoggio logistico e militare di Stati Uniti e Francia. «Perfino il tè e il caffè che il Ruanda vende è prodotto nelle zone occupate da bande di predoni». Nzolo denuncia poi i troppi tira e molla in decenni di trattative e tavoli della Pace, «dove si siglavano accordi di smilitarizzazione dei gruppi terroristici, che poi non venivano mai mantenuti».
Alla domanda se le chiese possono svolgere un ruolo in questo scacchiere intricato il pastore è scettico: «Chiesa cattolica e Chiesa unita di Cristo, sorta di Federazione che riunisce oltre 60 chiese protestanti del Paese, hanno perso molta credibilità di fronte all’opinione congolese per la loro ostinazione a voler far sedere al tavolo dei negoziati anche i gruppi ribelli, come l’M23. Ma chi si sarebbe sognato di far sedere i vertici dell’Isis allo stesso tavolo, a esempio, con gli Stati Uniti, legittimando di fatto un’organizzazione terroristica, elevata a grado di interlocutrice del governo? Non è accettabile, ancor di più di fronte alle migliaia di vittime, ai massacri che continuano nella connivente indifferenza del Nord del mondo».
Si tratta dunque e ancora di neocolonialismo che si esprime attraverso una sorta di guerra per procura per ottenere con ogni mezzo le ingenti fortune del suolo africano. A quali speranze aggrapparsi dunque? «C’è stata una campagna lanciata da un’organizzazione del Congo – chiude Nzolo – che invitava i miliziani a deporre le armi in cambio di denaro per poter avviare una piccola attività, e ciò ha portato a buoni risultati di disarmo. Esistono altri esempi simili. Serve credere nella possibilità di una reale giustizia. L’Africa ha bisogno di farsi le proprie basi da sola, senza un tutoraggio straniero». La situazione intanto appare sempre più tesa e ora anche il Burundi sta ammassando truppe nella regione, in supporto alla Repubblica del Congo, mentre a sua volta il regime ruandese accusa Kinshasa di tramare un’invasione. Il rischio di un’altra folle escalation è purtroppo concreto.