Di segni e di visioni. L’urlo di Munch

L’appuntamento di febbraio con la nuova rubrica di Riforma fra arte e spiritualità

 

All’inizio del secolo scorso (e per la verità anche alla fine di quello prima) molti artisti, quelli più attenti ai segni dei tempi, cominciarono ad affrontare temi in realtà non più eludibili: lo straniamento, il turbamento interiore, la sensazione di non-appartenenza – insomma un sempre crescente “che ci faccio, qui?” – che in qualche modo prevedeva i tempi di guerra, rivoluzioni, sospensione di libertà, sfruttamento della natura, che di lì a poco sarebbero iniziati. 

Edvard Munch dipinse il suo Urlo nel 1893, e certo non immaginava che sarebbe diventato un’emoticon utilissima per dire se hai paura che il treno che devi prendere faccia sciopero o che il tuo partner non ti ami più.

Ma, emoticon a parte, c’è più di un motivo per sentirlo, quell’urlo, ancora oggi. 

 

L’opera nasce da un turbamento esistenziale, uno “scollamento” tra l’individuo e il mondo, che si è amplificato anziché risolversi, diventando anzi una costante del nostro tempo, alimentata da crisi globali, cambiamenti climatici, disuguaglianze, disconnessione digitale.

Quell’urlo si alza ogni volta che ci sentiamo impotenti davanti a decisioni politiche che sembrano schiacciare il futuro; ogni volta che il pianeta grida il suo dolore in incendi, alluvioni o terre distrutte; ogni volta che ci troviamo persi in una società che promette connessione ma consegna solitudine.

 

L’arte profetica di fine Ottocento colse il disagio umano di fronte a un mondo che cambiava a un ritmo insostenibile.

Oggi, ancora viviamo le conseguenze di quelle trasformazioni – industrializzazione, sfruttamento della natura, alienazione urbana – e quell’urlo, come purtroppo le sue motivazioni, sono ben lungi dall’essersi spenti: in realtà, è un’eco che ripropone, quasi monotona, il grido di chi cerca senso in un caos crescente. 

 

Munch lasciò quel turbamento lì, crudo e universale, qualcosa in cui possiamo sempre riconoscerci. Un allarme per chi non vuole lasciarlo inascoltato: per simpatizzare con esso e, soprattutto, trovare il modo di unirci perché le sue cause si spengano, prima della sua eco.