Beni culturali, nuova vita nelle comunità

Presentato a Roma il Vademecum relativo al patrimonio valdese. A colloquio con Sara Rivoira e Anna Valeria Jervis

 

Il 12 dicembre a Roma, presso l’Istituto centrale per il restauro (Icr), è stato presentato il Vademecum per la conservazione dei beni culturali delle chiese metodiste e valdesi per iniziativa dell’Istituto stesso con il ministero della Cultura e la Tavola valdese/Ufficio Archivio storico e Beni culturali.

 

Dopo i saluti, fra cui quello di Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese e di Luigi Oliva, direttore dell’Icr, si sono tenuti gli interventi di Pietro Petrarola («Potenzialità formative ed educative della valorizzazione e della conservazione»); Daniele Jalla («Conservare il patrimonio culturale valdese è un’altra cosa? Riflessioni sui patrimoni di comunità»); Francesca Valentini («La conservazione partecipata come strumento di tutela condivisa e di rapporto con le comunità»); Sara Rivoira, responsabile dell’Ufficio competente della Tavola valdese («Accompagnare la partecipazione: dagli accordi formali alle buone pratiche»); Anna Valeria Jervis (Icr/restauratrice conservatrice: «Il Vademecum dei beni culturali metodisti e valdesi: un’idea di collaborazione con le comunità») e Maria S. Storace («I beni culturali in carta e pergamena: uso e/o conservazione»).

 

Sull’incontro del 12 dicembre a Roma abbiamo rivolto alcune domande a Sara Rivoira e Anna Valeria Jervis.

 

– Alcune delle relazioni dell’incontro ci segnalano che non si parla tanto di “materiali” collocati in qualche sede conservativa e/o espositiva, quanto di un qualcosa che vive della circolazione di idee e della familiarità dei beni culturali con le comunità. Come si caratterizza, dunque, questo patrimonio?

Anna Valeria Jervis [AVJ]: «Il Codice dei beni culturali e del paesaggio definisce, a livello nazionale, dei parametri per individuare che cosa deve essere tutelato. Negli anni il concetto di tutela è stato sviluppato e approfondito e oggi viene riconosciuto, con la Convenzione europea di Faro, ratificata dall’Italia nel 2020, il ruolo delle comunità in questo ambito. La Convenzione di Faro parla di “comunità patrimoniali”: una comunità patrimoniale è tale perché condivide tradizioni, luoghi e cose che hanno un significato riconosciuto, anche in maniera implicita, dai suoi membri. Il patrimonio culturale che appartiene a una comunità contribuisce pertanto a fondare la sua stessa identità. Ciò che caratterizza questo patrimonio, quindi, non è tanto la peculiarità dei singoli beni, quanto il fatto che essi rivestano un significato condiviso. 

Naturalmente tutte le comunità unite da un’identità condivisa, in virtù per esempio della stessa fede religiosa, hanno una storia in comune e possiedono un patrimonio culturale che vale la pena di conservare: adoperarsi per trasmetterlo al futuro contribuisce alla vitalità della comunità stessa. Sebbene il Vademecum sia stato pensato per lo specifico del patrimonio culturale metodista e valdese, esso si propone come uno strumento flessibile, utile anche per comunità diverse che abbiano l’obiettivo della tutela dei loro beni. Una parte importante è infatti costituita da 21 schede dedicate a differenti materiali e manufatti, che possono essere scaricate sia dal sito del Patrimonio culturale metodista e valdese sia dal sito dell’Istituto Centrale per il Restauro, e stampate anche singolarmente, per venire incontro a esigenze specifiche».

 

– Allora, una volta che i beni sono “inventariati” come elementi di un patrimonio, acquistano una nuova vita nelle comunità di riferimento?

AVJ e Sara Rivoira [SR]: «In realtà il passaggio da bene di “uso” a bene culturale non va pensato o inteso come un passaggio netto, che determina improvvisamente un diverso status di un elemento. Il patrimonio culturale, inteso nel senso più ampio, può essere patrimonio vivente, e pertanto tuttora in uso. Gli oggetti, come le persone e quindi le comunità, vivono radicati nella loro dimensione storica; sono quindi le relazioni e lo scorrere del tempo a rendere questi oggetti e queste persone ciò che sono oggi. Se pensiamo a esempio a pulpiti, organi, panche, vetrate, servizi da Santa Cena, sono elementi a cui teniamo anche perché sono una preziosa testimonianza di chi ci ha preceduti nella comunità di fede, e sentiamo di volerli salvaguardare perché portatori di una storia che ci rappresenta e che vogliamo raccontare e trasmettere. 

Un oggetto utilizzato correntemente può però essere delicato e fragile e, se esposto a usura, subire un danno: va quindi valutato se sia meglio interromperne l’impiego, per evitare che esso si deteriori in maniera irreversibile. Un altro fattore che a lungo andare può determinare la perdita di un bene è il fatto che sia trascurato o, per esempio, dimenticato in un luogo che si trova al di fuori dei percorsi abituali, come un sottoscala umido, dove si trova esposto all’azione di polvere, insetti e microrganismi. Il Vademecum tenta anche di spiegare che il deterioramento può essere originato da interventi di manutenzione e di cura non adeguati, sostituibili con accorgimenti più idonei, spesso di facile applicazione».

 

– Al di là del Vademecum, che contiene anche indicazioni operative per chi, nelle chiese evangeliche, si occupa di tutela e conservazione del patrimonio culturale, sono previsti anche incontri di formazione?

[SR]: «Nel maggio 2024 si sono tenuti due incontri di presentazione e di formazione rivolti proprio alle chiese e agli enti metodisti e valdesi, la cui registrazione è disponibile sul canale YouTube del Patrimonio culturale valdese. Una copia del Vademecum è stata distribuita presso tutte le chiese e per il futuro si organizzeranno incontri dedicati a tipologie specifiche di beni; si vorrebbero inoltre creare piccoli gruppi in seno alle chiese per il monitoraggio dello stato di salute del patrimonio».

 

– Che cosa accadrà nelle giornate del 5-6 aprile prossimi?

[SR:] Si terrà la terza edizione delle Giornate del Patrimonio culturale metodista e valdese, cioè un weekend di “porte aperte” di edifici di culto e spazi culturali. Un momento di sensibilizzazione e valorizzazione di un patrimonio, quello metodista e valdese, spesso poco conosciuto in Italia, solitamente considerato di scarsa rilevanza, ma che invece è ricco di storia e capace di testimoniare percorsi di fede, scelte di vita e un certo modo di essere chiesa».

 

Il Vademecum, a cura di S. Rivoira, A.V. Jervis e Cinzia Claudia Iafrate, consta di circa 200 pagine ed è pubblicato dall’editrice Claudiana.

Per ulteriori informazioni: [email protected]