Chiese e guerra, parole antiche e di attualità
Una grande panoramica storica nell’ultimo libro di Massimo Rubboli
È indubbio che il tema della guerra sia particolarmente sentito in questi ultimi anni, da quando due spaventosi conflitti lambiscono i confini dell’Europa. Con ottimo tempismo, dunque, la casa editrice GBU esce con il corposo libro di Massimo Rubboli, già professore di storia del Cristianesimo e del Nord America all’Università di Genova, sul rapporto fra la fede cristiana e le armi. Il libro si compone di tre parti: nella prima metà, si esaminano i primi 18 secoli di storia, dai testi del Nuovo Testamento e dei Padri della Chiesa fino ad alcuni pensatori dell’800, come Kierkegaard e Tolstoj, che denunciarono il conformismo delle loro chiese nazionali. La seconda parte, di quasi 250 pagine, va dalla Prima Guerra mondiale all’invasione dell’Ucraina. Chiudono il volume quattro schede su temi particolari e una amplissima bibliografia: un lavoro notevole che ha impegnato l’autore per “mezzo secolo” (p. 16), e che accompagna il lettore in questo lunghissimo lasso di tempo, presentando il pensiero dei vari autori attraverso citazioni dirette delle fonti.
Al termine di questo impegnativo percorso rimangono nell’animo del lettore molti stimoli e altrettante sensazioni contrastanti. Non potendo esaminarle tutte, ne cito solo alcune. La prima è che l’essere umano non cambia, nonostante le dure lezioni della storia, e così, al di là degli indubbi effetti nefasti della guerra, vi è sempre chi tende a vederne i lati positivi, primo dei quali è la certezza che l’azione militare, reprimendo chi ha commesso un torto, ristabilirà la giustizia e con essa la pace. Quante volte abbiamo sentito ripetere questa favola!
Ma ciò che colpisce maggiormente è la perpetua attualità di parole molto antiche, come la definizione delle “guerre giuste”. Una delle motivazioni è data da Agostino di Ippona (354-430): fermo restando che il fine della guerra è il raggiungimento della pace, questa è legittima nel caso di violazione dei trattati o di occupazione di territori (p. 57). Leggendo queste parole, a me è venuto spontaneo pensare all’invasione dell’Ucraina della Russia e al susseguente coinvolgimento della NATO in un conflitto che, a ben vedere, non le compete perché in esso sono coinvolti due Paesi al di fuori di questo trattato. Ma la motivazione che viene data per l’intervento è la stessa che veniva esposta da Agostino 1700 anni fa: un Paese è stato invaso e non è possibile accettare un simile sopruso.
Un secondo esempio, ancora più tragico, viene quando nella lettura ci si imbatte nella domanda se sia legittimo sterminare il nemico. Anche qui la risposta viene da lontano, ed è positiva: il teologo spagnolo Francisco de Vitoria (1483-1546), infatti, afferma che lo sterminio dei nemici è lecito quando non esiste altra possibilità di salvaguardare la pace, come nel caso della minaccia perpetua da parte dei Turchi (p. 112). E leggendo questa pagina mi tornavano davanti agli occhi le scene dei bombardamenti indiscriminati sulla Striscia di Gaza per «distruggere il pericolo costante di Hamas».
Si potrebbe continuare a lungo, ma voglio citare solo un altro esempio che emerge dal riferimento all’Impero Ottomano che per quasi un secolo, a cavallo del ‘500, ha rappresentato una minaccia per l’Europa. Dinanzi a questo problema, assolutamente concreto e attuale (se i Turchi avessero conquistato Vienna nel 1529, avrebbero avuto la via spianata per conquistare l’Europa centrale), possiamo riconoscere, in campo cristiano, tre atteggiamenti molto diversi: innanzitutto vi è il papa che dichiara la guerra santa, che culminerà con la vittoria nella battaglia navale di Lepanto (1571); al lato opposto si schiera l’umanista Erasmo da Rotterdam, che in vari scritti e in modi diversi si dichiara contrario alla guerra: «non credo, scrive, che si debba muovere avventatamente guerra neanche ai Turchi […] c’è proprio da temere che siamo noi a diventare Turchi anziché rendere quelli cristiani» (p. 102). Infine vi è Lutero, il quale rifiuta l’idea della guerra santa, ma afferma, in modo che potremmo definire “laico”, che è compito dell’Imperatore proteggere i suoi sudditi – e quindi, in base all’ubbidienza dovuta al Magistrato prevista da Paolo in Romani 13, è dovere dei principi cristiani rispondere all’appello imperiale e, se necessario, sacrificare la propria vita. Tre posizioni diverse, dunque: e tutte pretendono di rappresentare una fedele obbedienza all’Evangelo.
Volendo tentare una sintesi di un libro tanto ampio e variegato, mi sembra di poter dire due cose. La prima è che in genere la posizione pacifista e nonviolenta è stata rappresentata non dalle Chiese storiche, ma dai movimenti minoritari della Riforma radicale (verso i quali va in genere la simpatia di Rubboli), i quali, unitamente ai principi sopra esposti, hanno anche invocato con forza lo spirito di tolleranza e la libertà di culto e di pensiero. Anche se poi, talvolta, laddove essi hanno raggiunto la maggioranza, hanno negato ad altri ciò che pretendevano per sé.
Infine, va detto che il tema della pace e della nonviolenza non può mai essere affrontato una volta per tutte, ma si ripresenta sempre alla fede pensante come scandalo e pietra d’inciampo. Ne sono un esempio parlante quelle chiese che, quando le armi tacevano, hanno lottato per il disarmo e per la pace, ma che, allorché la tempesta è arrivata e il loro Paese è entrato in guerra, si sono allineate alle posizioni dei rispettivi governi (v. p. 346). D’altra parte, lo stesso Bonhoeffer avvertiva, in una conferenza degli anni ’30, che il “pacifismo cristiano” può non essere più specificamente cristiano, ma diventare un pacifismo ideologico, se si erge a giudice di altri e di guerre passate (p. 481). Dobbiamo dunque rimanere coscienti della nostra contraddittorietà, divisi fra la parola evangelica e la durezza della Storia; dobbiamo dunque essere grati a Massimo Rubboli per il notevole sforzo che ha compiuto, fornendoci uno strumento di lavoro quanto mai utile per orientarsi in tempi tanto complessi.
* M. Rubboli, I Cristiani, la violenza e le armi. Percorsi storici e revisioni storiografiche. Chieti, Gbu, 2024, pp. 534, euro 25,00