«Che cosa vuoi che io faccia per te?»

Intervista a Frank Dieter Fischbach, nuovo segretario generale della Conferenza delle chiese europee

 

Qui di seguito, l’intervista al nuovo segretario generale della Conferenza delle chiese europee (KEK), pastore Frank Dieter Fischbach, curata dall’agenzia stampa NEV.

 

Come valuta la sua partecipazione al Sinodo valdese in questo 850° anniversario del movimento di Valdo di Lione e quale significato ha questa pietra miliare nel contesto del dialogo ecumenico in Europa?

È un vero onore per me essere stato invitato al giubileo del movimento valdese qui a Torre Pellice. Sono felice che sia stato il mio primo viaggio come Segretario generale della Conferenza delle chiese europee e di aver partecipato a questo straordinario anniversario. Il movimento valdese è presente in Italia, in Europa e oltre, nonostante sia stato perseguitato nel corso dei secoli. Le persone hanno mantenuto la loro fede e Dio ha tenuto la sua mano sulla chiesa e sul suo popolo. Oggi è una chiesa di minoranza, ma sarebbe meglio parlarne come di una chiesa della diaspora, una chiesa in mezzo alla società. Una chiesa con un forte impegno sulle questioni sociali, convincente e rispettato. Un grande esempio è il suo progetto sulle vie sicure per i migranti, con un importante lavoro svolto in particolare in Italia. Questa chiesa è un segno di speranza e di fede. Stiamo parlando di chiese che possono essere piccole in termini di numero di membri, tuttavia possono essere e sono sale della terra e una luce nella società.


Sono impressionato dai numerosi ospiti internazionali ed ecumenici che stanno celebrando insieme l’anniversario della chiesa valdese. Ciò dimostra quanto questa chiesa sia aperta e ben collegata, e che la vita ecumenica è parte della sua vita ecclesiale, connaturata a questa chiesa.

 

Il suo ruolo di Segretario generale della Conferenza delle chiese europee è ufficialmente iniziato: quali sono le sue aspettative e priorità principali per il suo lavoro all’interno della KEK?

La Conferenza delle chiese europee è una comunità ecclesiale composta da chiese membro di tutta Europa. Ed è essenziale per questa organizzazione che le chiese membro partecipino alla sua vita e ne definiscano l’agenda. Le chiese membro dovrebbero prendere coscienza e certezza di essere le proprietarie di questa organizzazione. In quest’ottica di team dobbiamo stabilire il nostro lavoro a Bruxelles, sotto la direzione del Consiglio di Amministrazione eletto all’Assemblea Generale di Tallinn lo scorso anno. Mi sembra che il tema simbolo della KEK – quello di costruire ponti – sia tornato a essere rilevante: tra le nostre chiese, che esistono in contesti molto diversi, ma stanno affrontando tutte le sfide della secolarizzazione nelle società. Con il programma Pathway to Peace, costruiamo ponti tra le chiese in Ucraina, facilitiamo lo scambio tra di loro e ascoltiamo da loro le rispettive esigenze, mantenendo collegamenti con la comunità delle chiese in Europa. E ci chiediamo insieme cosa significhi questa esperienza di guerra in Europa per la nostra etica sulla pace, come comunità ecclesiale. Ma, naturalmente, dovremo sviluppare altri programmi nei mesi a venire, anche se dobbiamo considerare le risorse che la KEK ha a sua disposizione. Non saremo in grado di affrontare tutti i problemi che vorremmo.

 

Alla luce delle recenti violenze sociali e degli attacchi come ad esempio quelli accaduti in Germania e nel Regno Unito, quali strategie dovrebbero attuare le chiese secondo lei? Che tipo di collaborazioni concrete possiamo immaginare a livello politico per prevenire i fenomeni di odio?

La mia impressione e la mia comprensione, dopo gli scambi con i leader e i rappresentanti delle chiese KEK nelle prime settimane di lavoro, è che osserviamo una sorta di polarizzazione in molte società europee. Sembra che a volte non sia più possibile discutere di un problema da diversi punti di vista. Le reazioni a un’opinione opposta– soprattutto nei cosiddetti social media – diventano immediatamente aggressive, rifiutanti, odiose, denigratorie e umilianti. In questa atmosfera e con tale atteggiamento il discorso democratico è sotto pressione e la democrazia è in pericolo.

Vivere insieme nella società moderna e nella democrazia richiede un atteggiamento di ascolto, almeno per cercare di capire l’opinione dell’altro e di rispettare le sue argomentazioni. Penso ancora una volta alle chiese come costruttrici di ponti. Le chiese possono essere il luogo dove riunire persone con opinioni diverse, per offrire uno spazio sicuro in cui opinioni ed esperienze diverse possono essere menzionate e valorizzate, e dove le persone possono incontrarsi e discutere liberamente. Questo può avvenire in collaborazione con i comuni, territori o comunità, per raggiungere le persone che vivono lì.

Una delle questioni politiche in ballo, poi, riguarda la possibilità di capire se la politica possa fare di più per prevenire l’incitamento all’odio nei social media e in ambito pubblico, ma anche per prevenire l’enorme influenza delle fake news.

 

Quali iniziative o politiche pensa che l’Europa dovrebbe prioritariamente adottare riguardo al disarmo e alla promozione della pace?

Beh, questa è una domanda difficile. A causa dell’invasione russa dell’Ucraina, parliamo di diritto all’autodifesa dell’Ucraina e di sostegno tramite armi fornite dai paesi europei. La KEK organizzerà una conferenza europea sulla pace giusta alla luce di questa guerra, il prossimo dicembre in Polonia. Non vedo l’ora di ascoltare e conoscere come le chiese membro della KEK analizzano teologicamente la situazione.

Una lezione che potremmo già imparare è che per la pace in Europa è fondamentale una disposizione internazionale, in cui è il diritto a limitare un potere, rispetto a una situazione in cui invece uno stato potente possa trascurare i diritti e invadere uno stato vicino più debole.

Non dimentichiamo che il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea sono stati fondati per garantire e migliorare la pace in Europa e per stabilire una relazione fondata sul diritto e sui diritti, che consenta alle persone di vivere in pace e di incontrarsi.

 

Quali sono i prossimi eventi significativi della KEK?

Ho già menzionato la conferenza della KEK sulla pace giusta a dicembre in Polonia. Le chiese membro sono invitate e speriamo di avere uno scambio e una discussione intensi. Il nostro obiettivo è anche quello di coinvolgere in questa conferenza i rappresentanti delle chiese dell’Ucraina, che ci aiuteranno a comprendere meglio la situazione attuale.

Il 1° luglio abbiamo avviato un processo di consultazione e revisione della Charta Oecumenica insieme al Consiglio delle Conferenze episcopali cattoliche in Europa. La Charta Oecumenica è stata firmata nel 2001. L’Europa è cambiata profondamente da allora. Penso che sia un’ottima opportunità per le chiese in Europa di discutere di nuovo, in questi tempi, su come percepiscono l’Europa e il loro ruolo. Il processo di consultazione è aperto fino alla fine di quest’anno e si possono trovare molte informazioni a riguardo sul sito web della KEK.

 

In un’Europa diversificata e multiculturale, come possono i decisori politici promuovere un dialogo e una collaborazione significativi tra diversi gruppi culturali ed etnici e quali vantaggi ritiene possa portare tale dialogo alla politica europea?

Penso che dobbiamo prima accettare che questa è la realtà dell’Europa: essere diversi, differenti, ma questa è anche la forza della cultura europea. Ecco perché l’Europa è un continente così interessante. Una risposta a questa domanda potrebbe essere che i politici in Europa sono essi stessi un modello per il modo in cui partecipano ai dibattiti europei. Contribuiscono nel loro ruolo a un modello di ascolto, radicato nella convinzione che si possa imparare dagli altri, o si attengono a un punto di vista nazionalistico?

In secondo luogo è essenziale che le istituzioni dell’UE e gli stati nazionali sostengano tutti i tipi di opportunità di incontro tra le persone, come attraverso il famoso programma Erasmus. Qui le chiese possono e devono anche contribuire mantenendo o istituendo programmi di scambio e partenariato tra chiese. Per incontrare persone reali di un altro paese, facilitando il dialogo. Ma è anche vero che questo tipo di incontri a volte necessita di un’attenta preparazione, perché incontrarsi non significa che tutto vada automaticamente in modo amichevole e in armonia. In quelle situazioni, gli incontri devono essere organizzati e accompagnati da persone ben istruite che sappiano come gestire i conflitti.

 

Come percepisce il ruolo delle chiese e delle religioni nel plasmare prospettive culturali in ambito sociale e politico?

Bene, questa è una domanda meravigliosa, perché posso semplicemente riferirmi di nuovo al giubileo del movimento valdese e della chiesa valdese. È un esempio meraviglioso e convincente di una chiesa che plasma le prospettive culturali e anche la società. Il modo in cui funziona l’Otto per mille, ad esempio, usando i fondi provenienti da questa quota di imposta sui redditi per compiti sociali e diaconali in Italia e all’estero, dimostra come una chiesa possa plasmare la cultura di un paese e di una società. Per quello che ho potuto osservare, molte chiese e anche parrocchie in Europa iniziano a concentrarsi sulle richieste delle persone nel quartiere, in un distretto di una città o di un paese e chiedono cosa possono fare per le persone che vivono insieme lì. In questo modo sono in mezzo alla società. Ci ricorda Gesù, che una volta chiese a una persona: “Che cosa vuoi che io faccia per te?” (Marco 10:51).

 

 

Foto di Pietro Romeo