Rendere conto della speranza

Un giorno una parola – commento a I Pietro 3, 15

Ascolta la meditazione:

 

 

Io, io sono colui che vi consola; chi sei tu che temi l’uomo che deve morire?

Isaia 51, 2

 

Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni

I Pietro 3, 15

 

Che cosa significa “rendere conto della speranza”? Significa forse giustificare la speranza attraverso un ragionamento? Si può dare una spiegazione della speranza?

Non credo che la speranza sia un principio da cui dedurre passo dopo passo il senso complessivo della nostra vita. Se la speranza, come è stato detto, brilla nei disperati e se è vero che solo per chi non ha più speranza è data la speranza (quella data da Dio e non la nostra positiva esuberanza psicologica), vuol dire che la speranza non è un principio filosofico e nemmeno un principio edificante. La speranza “accade” e non è “nostra” come se fosse qualcosa di cui possiamo fare uso al momento del bisogno.

 

La speranza certamente c’è, ed è per noi, ma brilla e accade anche quando non la sentiamo, quando il corso del mondo la smentisce e quando, “in silenzio, siamo a terra con la bocca nella polvere perché così, forse, c’è ancora speranza” (Lamentazioni 3, 28-29).

 

Noi dobbiamo essere sempre pronti a mostrare la speranza che è in noi anche quando non possiamo dimostrarla. E forse possiamo farlo, anche se è paradossale, ripetendo quelle parole di umiliazione e di delusione che troviamo in Lamentazioni e in Geremia “O speranza di Israele, perché sei come un prode incapace di liberare? Perché sei come uno straniero che si ferma da noi una notte sola e poi se ne va via?” (Ger. 14, 8-9). Infatti, quelle parole di delusione e forse di rabbia sono pronunciate in preghiera. Una speranza pregata e urlata con desiderio nel momento della sua lontananza è una speranza che brucia di più e con maggiore intensità che una esortazione consolatoria. Amen.