Trauma, memoria e società

Le guerre, ma non solo: molti sono gli eventi che possono portare le persone a rinchiudersi in se stesse. Al di là delle cure per le patologie più rilevanti, la cultura può avere un ruolo di aiuto

 

Immersi in un vortice di notizie negative, stiamo spesso, in questi tempi, rinchiusi in noi stessi a scopo difensivo. Il nostro interno sembra restare l’unico rifugio da un mondo bombardato da notizie di guerra, di violenze, di prevaricazioni e da un clima politico prevalente, che cavalca emotivamente questo disordine invece di cercare di interpretarlo recuperando il significato profondo degli avvenimenti.

 

Vi è, indubbiamente, un aspetto post-traumatico nel disagio psicologico e sociale dei nostri giorni. I traumi rappresentati dai conflitti di ogni tipo, dalla pandemia che abbiamo appena attraversato, hanno segnato le nostre menti. Le esperienze traumatiche possono essere ricordate con eccessiva reviviscenza così come possono essere non integrate nella memoria come se gli effetti del trauma facessero oscillare le nostre menti fra i poli estremi della memoria o dell’oblio.

 

Gli adolescenti, in particolare, sono i più esposti in queste situazioni perché già attraversano una fase di cambiamento della loro vita alla ricerca di un nuovo equilibrio interiore e il trauma può slatentizzare in loro problemi psicologici preesistenti. L’incremento esponenziale dei fenomeni di ritiro sociale che si definiscono anche Hikikomori con un termine coniato dallo psichiatra giapponese Saito Tamaki che significa “isolarsi”, documentano una difficoltà crescente non soltanto individuale ma anche sociale: ragazzi e ragazze che si autorecludono in casa affetti da una sindrome sociale al confine fra malattia e disagio, in cui, paradossalmente, la rete rappresenta, attraverso la rappresentazione virtuale, l’unico tentativo di mantenersi in contatto con il mondo. Così come l’aumento delle situazioni di Disturbo da stress post-traumatico (Dpts) in situazioni in cui a distanza di tempo gli abusi fisici e psicologici subiti in infanzia possono favorire lo sviluppo di disturbi di personalità.

 

La cultura, in questa situazione, rappresenta un sistema di protezione dal trauma perché è provvista di norme e valori condivisi che attraverso una continuità storica possono contribuire a incrementare la nostra capacità di resistenza. Il trauma altera, in modo profondo, non soltanto il singolo individuo ma anche il sistema culturale in cui l’individuo è inserito. La società dopo avere subito il trauma non può più essere uguale a prima. Qui si possono innestare i problemi di uno sviluppo nella continuità democratica della nostra società. L’autoritarismo attecchisce laddove si perde la speranza in un cambiamento interiore e in una trasformazione sociale che garantisca lo sviluppo democratico dei diritti individuali e sociali.

 

Quando il sistema di protezione culturale individuale e comunitario entra in crisi, rischia di fare spazio a elementi regressivi e conservatori come il nazionalismo e i fondamentalismi ideologici, culturali e religiosi: regressioni di questo tipo sono una costruzione di una identità fittizia che nega il dolore e la complessità come se l’individuo e la società traumatizzati facessero ricorso a dei meccanismi di difesa arcaici e primitivi. Gli ancoraggi che i sistemi culturali possono offrire sono una forma di terapia importante che possono salvare la società e gli individui aiutando ad elaborare il dolore connesso al trauma. La memoria storica e lo studio del passato educano a comprendere la complessità e possono illuminare il presente aiutandoci a collegare la propria evoluzione interiore al cammino che attraversa la vita nel mondo esterno, così come un sestante aiuta nella navigazione.

 

L’esito dei processi traumatici dipende, dunque, in buona parte dall’età in cui compaiono, dal contesto sociale e dalla disponibilità delle risorse in campo. È evidente che per ridurne gli effetti negativi bisogna rafforzare i servizi sanitari di psichiatria e di psicologia dell’età evolutiva e adulta che, spesso, per carenza di investimenti non sono messi in grado di potere fornire un sostegno adeguato. È altrettanto strategico investire nella formazione culturale come nei sistemi culturali rappresentati dalle comunità di appartenenza. Le culture, talora, possono produrre dei sistemi di significato che aiutano l’individuo a elaborare i vissuti traumatici, anche per mezzo di rituali simbolici. Sappiamo che la alterazione della memoria delle persone che hanno subito un trauma si manifesta o con la dimenticanza attraverso a dei processi di dissociazione o con le interferenze di ricordi negativi che si ripresentano alla coscienza come dei flashback così come del contemporaneo effetto distruttivo sul sistema sociale. Anche il recupero di una memoria storica che ci permetta di riscoprire dei rapporti significativi con il passato e con la capacità che hanno avuto dei nostri simili di reagire positivamente a eventi drammatici accaduti può essere di aiuto.

 

Fra non molti giorni ricorderemo con una marcia silenziosa, a Torino, il 9 aprile, una figura luminosa come Emanuele Artom testimone della lotta per la liberazione del nostro paese dal nazifascismo e testimone, insieme di speranza in un cambiamento: se si leggono i suoi diari si capisce quanto la speranza in un mondo migliore non abbia nulla di utopico ma sia molto reale e animata dalla ricerca di una nuova moralità e socialità sostenute da una memoria efficace.