Confessioni tra pubblico e privato
Il racconto di una vita nell’ultimo libro della sociologa Paola Vinay
L’ultimo libro di Paola Vinay* è un intenso memoir che ripercorre e riflette su tappe importanti della vita personale e della vicenda italiana. Pagine intime, delicate e serene con un titolo strano che vi lascio scoprire (p. 89). L’autrice è una sociologa che ha svolto ricerche scientifiche a partire dall’economia periferica marchigiana sino alla condizione della donna in vari contesti sociali, per non dire delle sue ultime ricerche sulla differenza di genere in medicina. Nella lunga narrazione, svolta con rigore scientifico, affiora, discretamente, il robusto sodalizio coniugale, tra Paola e Massimo Paci, sociologo accademico.
La mia lettura, ammetto, è stata accompagnata e arricchita dalla conoscenza personale di Tullio Vinay e di sua moglie Fernanda. L’autrice è figlia di questo solido amore coniugale. Chi è nato nell’immediato dopoguerra ritroverà, almeno in parte, il dipanarsi dell’intera “vicenda vinayana” che l’autrice ha già ricostruito in un libro precedente1. Fede e politica. La fede in Cristo intrecciata alla passione per un mondo migliore, inteso come cantiere aperto, nel quale ogni persona può offrire un contributo concreto, scoprendo così (può capitare) il senso della propria vita.
Giovanissima, grazie a una borsa di studio, Paola soggiorna per un paio d’anni negli Usa, laureandosi in Sociologia nel Wisconsin. Tornata a casa nel 1961, ventenne, decide di non seguire i propri genitori nella loro nuova avventura sociale e di fede in Sicilia. Dopo gli anni di Agape a Prali, nelle valli valdesi, l’avventura dei suoi genitori continuerà a Riesi nel cuore della Sicilia più deprivata. «La lontananza dai miei, negli anni americani, aveva fatto emergere in me il desiderio di seguirli nella loro missione (…); mi trovai davanti alla scelta della mia vita e mi resi conto della mia incertezza in materia di fede (…); dovevo, insomma, cercare liberamente una mia identità, il mio senso della vita. Per più di quarant’anni mi sono definita, senza incertezze, non credente. Solo più tardi, e dopo aver scritto la biografia di babbo, mi sono soffermata ragionare su questa mia scelta» (p. 41).
Fu un congedo, annota Paola, non conflittuale: «… comunicai ai miei, che non sarei andata con loro perché non pensavo di avere abbastanza fede e non sarei stata coerente con quella missione. Loro ne soffrirono ma in nessun modo me lo fecero sapere, né mi fecero alcuna pressione. Rimasi a Torino, andai ad abitare a casa di un’amica e mi cercai lavoro» (p. 40). Qui incontriamo non solo la chiave di tanta irrequietezza ma la ragione stessa che spinge Paola a ripercorrere, oggi, quei decenni. In questo suo accurato esercizio, in filigrana, s’intravede una ricerca di fede che sgorga dalla testimonianza ricevuta dai genitori. L’eredità più preziosa, quella che ripropone, all’autrice, la questione sempre attuale del senso della nostra vita. È pur sempre la storia di una figlia di pastore.
En passant osservo come manchi, in Italia, un po’ di buona e onesta letteratura sulle famiglie pastorali, sulle loro dinamiche, sugli esiti educativi, gli sviluppi, le confessioni, le lacerazioni nella relazione tra comunità famigliare ed ecclesiastica. Il nostro testo tocca, solo indirettamente, quest’ultimo aspetto. Del resto Paola è pur sempre la figlia di un pastore protestante che fa, rigorosamente, i conti con sé stessa: «I ricordi di Paola Vinay, così volutamente precisi e minuziosi, riguardano la sua storia –osserva acutamente nella postfazione Goffredo Fofi (p. 337) – ma non dimenticando mai la Storia, il suo – come si dice – “privato” ma altrettanto il “pubblico”, le scelte che si è trovata a fare insieme alle persone più vicine e a partire da esempi esigenti» (p. 338).
Recentemente Paola Vinay ha presentato il suo libro, in due occasioni ben partecipate (Torino e Torre Pellice), dove nel dialogo con il pubblico è emerso il tema della fede e della passione politica. Piani diversi che spesso s’intersecano, si confondono, si sommano. Non esiste, credo, una risposta chiara e convincente sul dove stia il confine tra queste due dimensioni. Solo la vicenda complessa della nostra vita può, almeno in parte, chiarire ciò che ci è stato veramente a cuore nello scorrere dei giorni. Nel caso specifico direi che il termine greco: agape, l’amore di Dio (I Corinzi 13) – il potente tema teologico che Tullio Vinay ha messo al centro della propria predicazione – illumina lo svolgersi del racconto. Nel quale l’amore agapico è presente in modo sobrio, quasi un’indicazione sussurrata che invita a riflettere non tanto sull’amore teorico, spesso opportunista costruito sul do ut des, quanto su quello gratuito. Privo di tornaconti. La cui cifra è il dono di sé nel realizzare un mondo migliore. Una passione che sgorga dal dono più grande, quello che Dio stesso consegna all’umanità in Cristo. Capace di coinvolgere, in modi diversi, credenti e non credenti. Quanto al binomio fede e politica credo che, anche nel Regno, il dibattito continuerà, e questa volta con il conforto della verifica.
* Paola Vinay, Il deserto è il mio posto preferito per guidare. Una donna nella storia. Ancona, Argolibri, 2023, pp. 350, euro 16,00.
- Paola Vinay, Testimone d’amore, la vita e le opere di Tullio Vinay. Introduzione di Paolo Ricca, postfazione di Goffredo Fofi. Torino, Claudiana, 2009.
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