Venezia festeggia i 30 anni del primo Consiglio delle chiese cristiane in Italia

Intervista al pastore Fabio Traversari e al delegato diocesano don Francesco Marchesi sulle sfide dell’ecumenismo oggi. Il 23 febbraio un evento a Palazzo Cavagnis

 

Poco più di 30 anni fa, era il 20 dicembre del 1993, nei locali della Chiesa valdese a Palazzo Cavagnis a Venezia veniva firmato lo Statuto che forniva il quadro giuridico entro il quale poteva operare il neonato Consiglio locale delle chiese cristiane della città lagunare, il primo a sorgere in Italia.

Esso riuniva la chiesa anglicana, la chiesa battista, la chiesa cattolica, la chiesa greco-ortodossa, la chiesa luterana, la chiesa metodista e la chiesa valdese, cui nel tempo si sono aggiunte la Chiesa ortodossa rumena, la Chiesa ortodosso Copta e in qualità di “osservatrice” anche la Chiesa ortodossa russa. È la prima volta che, ufficialmente, si forma un organismo ecumenico territoriale dove siedono insieme, in modo paritetico, diverse denominazioni e confessioni cristiane. Una sorta di “laboratorio” di dialogo che darà vita e impulso a numerose iniziative.

 

Non è un caso che il primo Consiglio locale di chiese cristiane abbia visto la luce proprio a Venezia, «città pioniera dell’ecumenismo», come la definì il teologo luterano Frithjof Roch, promotore dell’iniziativa insieme al pastore valdese Eugenio Stretti. «Sin da tempi antichi – disse Roch in occasione della costituzione del Consiglio – la politica della Serenissima ha facilitato la convivenza di varie confessioni, come cattolici, ortodossi e luterani. E negli anni immediatamente precedenti al Concilio, la ventata di aria fresca portata da Roncalli ha favorito la nascita di contatti ecumenici».

 

«L’ecumenismo nella città veneziana ha radici profonde, figlie della grande varietà sociale dei suoi abitanti fin dai secoli passati – ci dice il pastore Fabio Traversari, in servizio presso la Chiesa valdese locale- . Per rimanere soltanto a tempi più recenti figure quali quelle di Maria Vingiani, dei pastori Renzo Bertalot e Agostino Garufi, del teologo cattolico don Germano Pattaro, sono stati dei pionieri in materia».

 

«Una particolarità del nome latino di Venezia è che ai tratta di un pluralia tantum, si declina cioè al plurale, Venetiae, perché ci si riferiva a un complesso di centri nati sulle isolette della laguna e poi fusesi insieme» gli fa eco don Francesco Marchesi, rappresentante diocesano all’interno del Consiglio delle chiese cristiane veneziano. «Questo plurale in qualche modo coglie anche un pò l’anima della città; Venezia non sarebbe tale senza questo crogiuolo di culture unite in una sintesi singolarissima. Penso ad esempio alla Chiesa copta, con la quale condividiamo le stesse radici marciane. La memoria custodita sotto l’altare della basilica di San Marco vede il fluire di pellegrini copti da tutto il mondo, qualcosa di commovente. O penso alla storica presenza greca: non a caso Venezia è la sede metropolitana del patriarcato di Costantinopoli in occidente.

Qui poi sorge la prima comunità luterana italiana e se allarghiamo lo sguardo oltre il mondo cristiano, Venezia non sarebbe tale senza l’originalissimo contributo del mondo ebraico (qui nasce il primo ghetto)o del mondo islamico al Fondaco dei Turchi i cui ospiti godevano di privilegi riservati soltanto ai cittadini stranieri».

 

Insomma, la gloriosa storia di potenzeamercantile ed economica della città ne ha fatto nei secoli una calamita di popoli e culture. «Un’abitudine al dialogo che va calata nel presente – commenta il pastore Traversari-. La sfida oggi come cristiani è dialogare al meglio anche al di fuori dell’ambito cristiano con le altre religioni che sono diventate una presenza consistente».

 

Un Dna ecumenico possiamo dire, che va declinato al presente. In che maniera?

«Con una estrema attenzione al reale, alla quotidianità – riflette don Marchesi -. Come cristiani ci dobbiamo dare l’obiettivo di essere presenti nelle sfide di ogni giorno, in un contesto di sempre maggiore secolarizzazione. Offrire la speranza dell’Evangelo, capaci al contempo di accettare la sfida della diversità, evitando banalizzazioni e chiusure. Imparare soprattutto ad ascoltare di più e meglio, avere voglia di attingere dall’altro, esercizio non semplice».

 

C’è il rischio di cadere in un ecumenismo di maniera, fatto di gesti formali ma poi arenato di fronte alle complessità?

«I rischi sono di due tipi – ammonisce Traversari -: l’atteggiamento di chiusura oppure un generico vogliamoci bene che tutto annacqua. Se però siamo davvero fratelli e sorelle, se ci sentiamo tali, possiamo ascoltarci e dirci le cose in modo schietto ma fraterno, dialogare sulle cose che uniscono e su quelle che dividono. Serve complessità, ci sono temi che ancora non ci consentono la piena unità, come ad esempio con la Cena del Signore».

 

Don Marchesi: «È vero che non possiamo celebrare l’Eucaristia insieme, già io la chiamo in maniera diversa a riprova di come esistano questioni di teologia sacramentaria su cui evidentemente c’è un lavoro oggettivo da fare. C’è una coscienza ecclesiologica che deve imparare l’una le categorie dell’altra, che non deve essere soltanto un ragionamento teologico, ma deve diventare reale conversione, un cammino spirituale da intraprendere.

Conoscerci, stimarci, cercare l’unità che è una vocazione interna alla nostra confessione di fede cristiana stessa, Gesù dice perché tutti siano uno. Cercare l’unità nella chiesa nella pluralità non è strategia politica e sociale, ma è aspetto costitutivo della nostra fede cristiana, anche per dare testimonianza al mondo.  Già oggi però Fabio, io e gli altri del Consiglio cristiano possiamo fare qualcosa: ad esempio attraverso l’esperienza vissuta con la lettura itinerante della Bibbia nei luoghi pubblici della laguna per offrire alle persone una occasione di testimonianza comune. Lo facciamo con il portare una parola che non è cattolica luterana o valdese, ma è di Dio».

 

Esistono poi le esperienze di accoglienza congiunte di persone migranti giunte in zona grazie al progetto dei Corridoi Umanitari insieme ad altre attività sociali e di preghiera ( un appuntamento in tal senso, una preghiera per la pace, si svolgerà a marzo nel monastero di Clausura della suore carmelitane a San Alvise.

 

Ma prima, per festeggiare ancora una volta il trentesimo anniversario dalla costituzione del Consiglio, venerdì 23 febbraio alle ore 17.30 ci sarà un incontro proprio a Palazzo Cavagnis, con gli interventi del professore Giovanni Vian, docente Storia del cristianesimo a Cà Foscari, sulla storia del Consiglio ecumenico delle chiese, a partire da Venezia per aprire lo sguardo all’ ecumenismo a livello mondiale, e del pastore Fabio Traversari sulle sfide del futuro per l’ecumenismo, con intermezzo con musiche di allieve e allievi dell’istituto Dante Alighieri di Venezia.

 

Scheda Nev: I Consigli delle chiese cristiane in Italia