Accadde oggi, 20 febbraio
20 febbraio 1958, addio “case chiuse”, entra in vigore la legge Merlin
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Finiti i riti di iniziazione maschile, il passaggio del testimone virile da padre in figlio, il sollievo dei militari in libera uscita: il 20 febbraio 1958 entra in vigore la legge n. 75 che stabilisce la chiusura della “case di tolleranza” e il divieto dello sfruttamento della prostituzione.
È la fine della prostituzione legale in Italia: con la cosiddetta legge Merlin, che prende il nome dalla senatrice socialista che l’ha promossa, d’ora in poi sarà proibito regolamentare il commercio del sesso. Una legge che impiega nove anni per percorrere l’iter legislativo e che anche dopo la sua approvazione verrà guardata con sospetto e mai davvero accettata come una conquista sociale. Non a caso la sua promotrice verrà in seguito emarginata dal suo partito, che non la ricandiderà alle elezioni politiche.
Un’accoglienza quindi tiepida se non decisamente formale, come testimonia il dibattito che da decenni continua a ritornare in Parlamento e nella società civile sull’opportunità di abolire la legge e trovare una “sistemazione” alle donne che si prostituiscono.
Che si parli di case o quartieri in cui relegare le “professioniste del sesso”, le motivazioni sono sempre le stesse: tutelare chi è sfruttata o farne un mestiere tassato come tutti gli altri. Una buona dose di ipocrisia e di non risolto sottende, oggi come allora, alle argomentazioni di chi vedrebbe nell’abolizione della legge Merlin il male minore: non solo chi lavora con le vittime di tratta (la maggioranza delle donne che oggi si prostituisce è straniera) dichiara che non è questa la soluzione, perché si tratta di contrastare a monte le mafie che gestiscono il traffico internazionale di ragazze, spesso minorenni, destinate al mercato del sesso, e non certo di legalizzarne lo sfruttamento una volta arrivate in Italia.
Rimane in ogni modo ancora poco indagato il mondo della “clientela” maschile e del rapporto con il sesso a pagamento, spesso liquidato come ineluttabile necessità. Il punto resta la (mancata) analisi del rapporto fra i generi (uno destinato a dare piacere all’altro?) e il fatto che uno Stato non possa, innanzitutto simbolicamente, avallare e normare la compravendita di corpi e di un’espressione di sé tanto intima e libera come il sesso.