C’è ancora domani, bisogna agire oggi
Violenza sulle donne: il film di Paola Cortellesi dà del fenomeno una lettura non scontata e ci invita alla riflessione sul nostro impegno
Il risveglio, uno sbadiglio e un “bello” schiaffo in faccia. Lei è Delia (Paola Cortellesi), lui Ivano (Valerio Mastandrea), i due protagonisti di C’è ancora domani, il primo lavoro dietro alla macchina da presa da Paola Cortellesi. Un film che ha riempito le sale (anche un giovedì sera, a Barge, cinema di provincia, Provincia di Cuneo, la coda era lunga e non tutto il pubblico è riuscito a entrare… buon segno) e che inizia con una scena di violenza gratuita e insensata. Comune e “normale” per l’epoca. Una Roma in bianco e nero, una Roma che esce a pezzi dalla Seconda Guerra mondiale; sta per iniziare il boom ma l’eco della borsa nera, le ferite del conflitto nella città e nelle anime delle persone sono ancora presenti e ben rappresentate da Cortellesi. Al centro una storia, che in realtà è soltanto uno dei mille esempi che potevano essere molto attuali in quell’Italia, e che ancora oggi rimangono purtroppo oggetto della cronaca nera e del dibattito politico.
La trama è chiara fin da subito, dalla prima scena. Quello che segue è un ritratto dell’Italia di quegli anni, fatta di uomini che lavorano, che hanno il completo e totale controllo sulla vita di moglie, figli e figlie; di povertà e di grandi sogni. C’è la figura centrale della figlia di Delia, Marcella, che vede le profonde ingiustizie subite quotidianamente dalla madre, che la spingono a ribellarsi, ma che poi rischia di ricadere lei stessa in quello che stava vivendo Delia.
C’è anche però un affresco sulla solidarietà che oggi rischia di perdersi, soprattutto nelle grandi città. Il cortile circondato dai palazzi è il luogo centrale della vita, dove ci si può rifugiare e dove si può trovare aiuto e sostegno, dove passa la vita, dove non si hanno segreti. C’è il mercato rionale dove Delia incontra la sua amica, a cui confida i segreti più intimi e dove trova riparo; c’è la presenza dei soldati americani, con i quali c’è una totale incomunicabilità dovuta alle lingue diverse, ma c’è anche comprensione e sostegno.
«Un film che tutti dovrebbero vedere, un film che dovrebbe essere proiettato in ogni scuola». Queste alcune delle frasi più significative che stanno circolando sul web, riguardo a C’è ancora domani. Non si può non essere d’accordo, anche perché il tema centrale attorno a cui si svolge il plot del film è quello su cui è necessario un importante e profondo intervento culturale, che ha mille rivoli e mille implicazioni e prevede una crescita collettiva. Passi avanti ne sono stati fatti, oggettivamente, ma la strada è ancora lunga. Nel film la violenza, escluso il primo schiaffo, è rappresentata con una scelta particolare: viene sempre celata, o meglio trasformata in una danza. Una scelta stilistica che forse ottiene ancora di più l’effetto voluto. Sta succedendo quella cosa, non la vediamo, ma tutti sappiamo.
Il secondo elemento portante è quello che sorprende alla fine della pellicola: chi non ha ancora visto il film potrebbe interrompere qui la lettura dell’articolo, per non rovinarsi la sorpresa… «Adesso l’ammazza»; «Ora fugge con il grande amore della sua vita». Questo è ciò che si potrebbe aspettare con le ultime sequenze… e invece Cortellesi fa una scelta, politica in tutti i sensi, diversa. Il suo percorso di emancipazione infatti inizia con un atto simbolico, quello del voto. Per la prima volta infatti, il 2 giugno 1946, le donne votano: in massa, l’89% delle aventi diritto. Una rivoluzione silenziosa, resa possibile da quello che c’è stato negli anni immediatamente precedenti. Questo sacrosanto diritto infatti è figlio dell’antifascismo, della guerra di Liberazione, dei partigiani e delle partigiane, che hanno accelerato un processo che non aveva mai trovato un terreno così fertile da poter attecchire in modo definitivo.
Foto da My Movies