Donne e lavoro una diffusa forma di violenza

L’aggressione alle donne non è fatta solo di femminicidi: la prevaricazione si insinua subdolamente in molti settori della società

All’interno dello scorso numero, e on line sul nostro sito www.riforma.it le lettrici e i lettori di Riforma – L’Eco delle valli valdesi hanno trovato il fascicolo a cura della Federazione donne evangeliche in Italia (Fdei), dedicato come ogni anno ai «16 giorni per vincere la violenza». Nello specifico, il quaderno di quest’anno è dedicato al tema “Donne e lavoro: una violenza diffusa e nascosta”. Sul suo contenuto e sulle sue motivazioni riflette qui la pastora Mirella Manocchio, che della Fdei è presidente.

Ancora una donna, ancora un ex compagno, ancora morte!

È di pochi giorni fa l’ultimo brutale omicidio di una giovanissima donna, Giulia Cecchettin, per mano del suo ex fidanzato! In queste settimane tutti i media sono affollati dalle reazioni contrite di tanti politici, dalle parole colme di sdegno, di dolore e riprovazione di tanti nostri concittadini e concittadine. Ma basta lo sdegno, il dolore, la riprovazione perché ancora una ragazza o una donna non venga violentata, picchiata o assassinata?

È una strage che continua da decenni e come l’onda di un mare in tempesta o la piena di un fiume che esonda sembra essere inarrestabile, impossibile da fronteggiare… soprattutto se si pensa di farlo con qualche sacco di sabbia! Si perché questo è quel che mi sembra stia facendo la politica in particolare, ma pure la società in generale. Quanto in Italia si fa per arginare questa tragedia è davvero poco, molto poco. Noi donne evangeliche non vogliamo accettare questa situazione e non dobbiamo abbassare la guardia! Potrebbe allora sembrare strano che la Federazione donne evangeliche in Italia (Fdei) quest’anno abbia dedicato l’Opuscolo dei 16 giorni per vincere la violenza sulle donne a un tema come il lavoro, invece che alla violenza vera e propria.

In realtà violenza fisica e femminicidio sono l’espressione estrema di un pensiero consolidato, che emerge quasi di soppiatto ma che è strutturale della nostra società patriarcale e machista. E proprio l’ambito lavorativo è uno dei luoghi in cui questo pensiero, questo atteggiamento emergono con forza plasmandolo, strutturandolo, mettendo in atto discriminazioni, linguaggio e atteggiamenti sessisti, financo ricatto sessuale.

Ormai è assodato che esiste il fenomeno del gender pay gap per cui le donne vengono pagate meno degli uomini a parità di impiego (il divario retributivo medio europeo tra uomini e donne per ora lavorata è del 14,1%, ma nel 2022 l’Italia era 13,8 punti sotto la media europea), poi vi è la questione del basso tasso occupazionale e le altre discriminazioni che favoriscono condizioni di sudditanza economica e psicologica per cui non è raro che vi siano donne bloccate in relazioni con uomini manipolatori, possessivi e violenti a causa di una mancata autonomia economica. Vi sono donne che, vittime di violenza, sono riuscite a fuggire da queste relazioni tossiche, ma faticano a ricostruirsi una vita. Il sostegno dalle istituzioni pubbliche non è sufficiente e spesso è l’associazionismo che viene in soccorso, quello stesso che in molti casi fatica a trovare finanziamenti pubblici adeguati ai progetti proposti, e in altri è addirittura ostacolato.

Nell’opuscolo della Fdei vengono anche affrontati gli stigmi e le discriminazioni messe in atto contro le malate di Aids, la solitudine e le sottili violenze psicologiche cui sono sottoposte le badanti e le colf, oppure lo sfruttamento delle braccianti nei campi. I vari temi sono affrontati con il nostro taglio di credenti per suscitare una riflessione che si colleghi con il nostro vissuto di fede, che ci porti a fare scelte di campo come chiese e come singoli.

Ma il nostro sguardo di donne va oltre i confini nazionali visto che il fenomeno è presente in tutte le parti del globo. Ecco perché da alcuni anni l’opuscolo della Fdei, curato quest’anno dalla pastora Gabriela Lio e da Gianna Urizio, è tradotto in quattro lingue (francese, inglese, spagnolo e tedesco) e viene inviato alle organizzazioni femminili cristiane di ogni continente. Inoltre, vi è anche la volontà di coinvolgere in questa azione di sensibilizzazione le donne, e gli uomini, provenienti da altre nazioni che vivono in Italia e sono appartenenti alle nostre chiese. Abbiamo tanto da comunicarci e da imparare vicendevolmente, se sul serio vogliamo impegnarci a costruire un differente assetto relazionale e strutturale della società «fondato sulla cooperazione, scavalcando i principi gerarchici, di dominio e di competizione» e creando «uno stile di vita basato sulla reciprocità» a tutti i livelli e con tutti gli esseri viventi, come già suggeriva negli anni ‘70 del secolo scorso la teologa cattolica Rosemary Ruether (Per una teologia della liberazione della donna, del corpo, della natura, Editrice Queriniana, 1992, p. 151).