Addio a Ettore Mo

Un cronista internazionale, sempre sulla strada

«Te la sei vista brutta, questa volta eh, Ettore?». «Non poi cosi tanto, perché sparavano ad altezza d’uomo quindi con la mia statura non correvo rischi». 

Così Ettore Mo, ha risposto una volta al Corriere, di ritorno di una delle sue trasferte di guerra. Ironia e autoironia non gli mancavano, virtù rara oggi, dove «l’ego» di chi racconta spesso sembra oscurare i fatti che vengono raccontati. Ettore era così, giramondo di natura viveva a Londra di espedienti e si presentò con sfrontatezza all’allora corrispondente del Corriere che cercava una baby sitter. Il corrispondente era Piero Ottone e conoscendolo intuì la stoffa del ragazzo. 

Cominciò a farlo collaborare semiclandestinamente. Prima senza firma poi con la sigla v (vice) poi e.m., dopo un po’ in via Solferino decisero di portarlo in Italia: praticantato ed esame nonostante potesse insegnare il mestiere a molti esaminatori. Ettore non batté ciglio. Né obiettò, quando lo assegnarono agli spettacoli, per la sua conoscenza delle lingue. Quando scoppiò una delle molte crisi iraniane bisogna partire in fretta e gli inviati di grido non si trovavano. 

Così mio padre, Franco Di Bella che aveva imparato ad apprezzare Ettore grazie a Ottone lo mando, «su due piedi» all’estero. Un piccolo scandalo nei corridoi austeri di via Solferino. Un azzardo riuscito. Ettore si dimostrò un inviato fuori dal comune, lontano da elucubrazioni diplomatiche e analisi fumose. Un cronista internazionale sempre sulla strada. E quando tornava in Italia, si rifugiava ad Arona sul lago maggiore, a un passo da Borgomanero, dov’era nato. Come ha scritto Milena Gabanelli, che lo aveva conosciuto, «oggi anche il lago Maggiore è più triste».

*Pubblichiamo l’articolo per gentile concessione dell’autore e di Articolo 21.org