Le nostre chiese di domani

Alle prese con il caldo indotto dal cambiamento climatico, il Sinodo di Torre Pellice registra la preoccupazione per il calo numerico ma sa trovare anche i motivi per avere speranza

«Che caldo!», «Mamma mia, che caldo!», «Il Sinodo più caldo di sempre!». Al Sinodo, normalmente, non fa caldo: anzi, chi viene dal Sud pregusta il fresco serale e le giornate di pioggia come preludio dell’autunno imminente. Invece, quest’anno ci sono temperature massime di 33/34 gradi – percepiti, 38, ci tiene a specificare Google – perché non tira un filo di vento, e per la prima volta chi segue nel tendone si sente in una posizione più fortunata, perché dagli schermi che inquadrano l’Aula sinodale si vede una danza sfrenata di ventagli di ogni foggia e colore, e il Seggio richiama più volte deputate e deputati alla pazienza.

Seguire il Sinodo dal tendone è anche più divertente, in verità: nessuno si frena dal commentare gli interventi, scuotere vigorosamente la testa, oppure applaudire, come chi guarda una partita in tv e non allo stadio. Del resto, è difficile tacere quando certi argomenti ci appassionano tanto. 

La notizia che in questo Sinodo avremmo discusso di gestazione per altri (gpa) ha suscitato interesse al di fuori del “nostro giro”, e a giudicare da quelle stesse prospettive esterne, sembra quasi che abbiamo adottato una posizione unanime, ma in realtà dietro l’ordine del giorno che è stato approvato sul tema c’è un dibattito molto acceso, e posizioni contrastanti. Lungi dall’essersi pronunciato “a favore” della gpa, qualsiasi cosa questa espressione significhi, il Sinodo ha votato un odg che si pronuncia contro la sua criminalizzazione e a favore del riconoscimento dei diritti di bambine e bambini cittadini del nostro paese, nonché, se ci fosse bisogno di ribadirlo, a favore della piena accoglienza delle persone LGBTQIA+ e delle loro famiglie nelle nostre chiese. C’è poi una Commissione per i problemi etici posti dalla scienza, formata da teologhe, medici e scienziate provenienti dal mondo valdese, metodista e battista, che invierà un documento sul tema della gpa, da discutere nelle chiese, in modo da continuare il dibattito nei prossimi anni. Lo scrivo per fare chiarezza, da persona tendenzialmente favorevole alla gpa, ma consapevole che sia corretto riportare la complessità del dibattito con chiarezza, perché questo siamo: una chiesa che discute di temi complessi, e non offre soluzioni semplici né plebisciti praticamente su nulla.

Per quanto i temi di attualità nazionale e internazionale facciano sempre parte dei dibatti sinodali, tra gli argomenti che più infervorano gli animi non manca mai quello della vita delle chiese, oggi dominato da un punto dolente che ci preoccupa non poco: il restringimento del Corpo pastorale, la carenza delle vocazioni, la diminuzione drastica dei membri di chiesa. Sono problemi che investono la maggior parte delle chiese cristiane, che lasciano i più pessimisti tra noi a domandarsi se scompariremo prima come chiese o come specie umana – considerando il caldo, sintomo inequivocabile del cambiamento climatico.

Come reagiamo, in quanto chiese metodiste e valdesi, alla prospettiva di avere meno pastore e pastori a curare le nostre sempre più piccole comunità? Che domande! Reagiamo, innanzitutto, con un dibattito. Lungo, sentito, sofferto e appassionato. La Commissione d’esame ha proposto il tema del riconoscimento di più ministeri al di là di quello delle pastore, dei diaconi e delle anziane di chiesa: si è parlato di ministero musicale, di pastorato per le giovani generazioni, di predicatori e predicatrici locali, che per fortuna non mancano. Se è vero che stiamo affrontando un problema, possiamo prendere ispirazione da chiese sorelle in Italia, come quelle battiste, o all’estero, come la Chiesa protestante Unita di Francia o le stesse chiese valdesi del Rio de la Plata, e trovare una soluzione creativa che ci consenta di funzionare. Del resto, la chiesa valdese è nata come un movimento di predicatori mendicanti, mentre quella metodista è arrivata nel nostro paese insieme al Risorgimento e alimentando il sogno di un’Italia protestante: insieme dal 1975, siamo una chiesa che è cambiata radicalmente tante volte, e non dovrebbe spaventarci se in futuro ci diamo un diverso assetto rispetto a quello a cui erano abituate le nostre nonne.

Potremmo doverci abituare a chiese più piccole, a un pastorato più itinerante, a impegnarci di più come laici e laiche. Potremmo doverci abituare a un sinodo più breve, che sperimenteremo per due anni a partire dal 2025 (già prevedo che sarà il principale argomento di conversazione!). Potremmo doverci abituare a mettere nella valigia per il Sinodo non più il k-way e l’ombrello, ma i sandali e il ventaglio. Potremmo essere una chiesa completamente diversa nel giro di trent’anni, e andrà bene così, perché, con tutti i nostri inevitabili difetti, che in fondo fanno parte della natura peccatrice dell’essere umano, siamo disposti a fare lo sforzo di un cambiamento che spesso ci pesa e ci secca, ma è necessario, perché riconosciamo che la nostra vocazione all’Evangelo non si potrebbe attuare se non in una continua e costante riforma.