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La democrazia si vive ogni giorno

Un episodio, rievocato alla rassegna libraria «Una Torre di libri» da Manlio Milani, presidente dell’associazione vittime della strage di piazza della Loggia, fa riflettere: ai funerali per le vittime della bomba di Brescia (1974), il Servizio d’ordine del sindacato ha collaborato a garantire la protezione al presidente della Repubblica Giovanni Leone. Grande era allora la diffidenza del sindacato e della sinistra rispetto a corpi dello Stato visti come potenzialmente compromessi con lo stragismo e come inadeguati a perseguirlo fino in fondo: ma il presidente rappresenta le Istituzioni, magari si poteva fischiarlo, ma andava garantita la sua presenza e chi volle collaborare a garantirla lo fece nella convinzione di vivere giorno dopo giorno l’eredità ricevuta dalla Resistenza e dalla Costituzione. Che altri non applicavano.

Ecco, dalla tragica concretezza di quella vicenda si capisce che la democrazia si studia ma soprattutto si vive, deve fare tutt’uno con ognuno e ognuna di noi; non è cosa scontata, e non lo è il suo ABC. Certo, l’indicazione che ognuno debba fare la sua parte si fa tanto più autorevole quando a ricordarcelo è un uomo che ha perso la moglie e molti amici in quella strage. Il suo è un discorso reso tanto più credibile dal dramma vissuto. Ma togliere la patina della retorica dai discorsi e dagli studi sulla democrazia è un dovere a cui nessuno può sottrarsi.

Per questo ha senso che giovani studiosi vengano a contatto con alcuni fondamenti della democrazia, anche a partire da una realtà (Torre Pellice) a prima vista marginale per molta opinione pubblica. Tale è stato l’assunto, per il secondo anno, della «Scuola per la democrazia» organizzata da Centro culturale valdese, Liceo valdese, Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), Sapienza Università di Roma, con il sostegno dell’Otto per mille valdese. E così ha senso che altri giovani, nelle scuole del territorio e del Torinese, vengano coinvolti nei mesi successivi. Chi studia, e certo per età non può avere avuto visione diretta delle stagioni politiche passate e delle cronache più nere della Repubblica, può scoprire che una minoranza, anzi una minoranza religiosa, tiene a questi argomenti ritenendoli importanti per la convivenza civile e per la propria testimonianza.

Ne fanno fede alcuni degli argomenti emersi nella settimana, le cui mattinate tematiche (Memorie; Testimonianze; Migrazioni; Responsabilità; Paesaggi; Religioni) erano aperte anche al pubblico. Ovvio che nell’ambito di una chiesa cristiana assumessero valore centrale le questioni della laicità, della formazione scolastica delle nuove generazioni, dei diritti di tutti; ma sono emerse anche le inquietudini che vengono dal trapasso subdolo della simbologia religiosa in ambito politico, tendenzialmente reazionario (P. Naso). Così anche Alessandro Saggioro ha ricordato il sovrapporsi del religioso e non-religioso: la memoria, in determinate circostanze coinvolgenti (come la strage dell’11 settembre 2001) crea un ponte fra dimensione laica e dimensione spirituale, quando determinati oggetti vengono a costituire un terreno comune del ricordo in funzione di una religione civile.

Il caso italiano è ulteriormente atipico: prevede dei principi fondamentali nella Costituzione, ma alcuni di questi principi hanno tardato a essere tradotti in pratica. E questo diventa allora un problema politico, a cui la politica dà risposte diverse a seconda dei momenti e delle maggioranze: a volte tocca alla Corte Costituzionale venire in soccorso, come nel caso della sentenza del 1989 che sancì la non-obbligatorietà della frequenza scolastica di una materia che è “alternativa” a una materia facoltativa, come l’Insegnamento della religione cattolica.

Altri concetti, che si pongono all’incrocio fra storia del protestantesimo e storia della democrazia, hanno caratterizzato la tavola rotonda a conclusione della settimana, con Elena Bein Ricco, Marco Tarquinio, Daniele Garrone. Intanto l’idea di patto: un paradosso, ha detto Garrone, presidente della Fcei, rievocando le radici bibliche (il patto tra Dio e gli uomini); storiche (il patto di reciproca fedeltà tra i valdesi tornati dal Glorioso Rimpatrio) per cui si sceglie liberamente di sottostare a un vincolo, senza il quale non esisterebbe democrazia. Per arrivare all’oggi, con il patto democratico che, come ricordato dalla prof.ssa Bein, lega individui dalle provenienze diverse caratterizzati non dalla nascita ma dal riconoscimento delle (e nelle) medesime leggi: una precisazione fondamentale, in un momento storico in cui torna un auge un concetto etnocentrico di patria e nazione, che esclude e considera estranei coloro che arrivano da altri paesi. La nazione democratica, ha insistito Bein, non è una comunità naturale, ma una costruzione sociale, «la grande scommessa di tenere insieme uguaglianze e differenze».

Infine il concetto di riconoscimento. Mi riconosco in una serie di codici, regole e valori, e riconosco te come detentore di pari dignità e diritti: i relatori hanno sottolineato come il concetto di democrazia vada oltre il rispetto delle leggi, riguardi temi come la solidarietà, la libertà, la stessa umanità («le leggi sono buone quando hanno un contenuto di umanità», ha detto Tarquinio, per molti anni direttore di Avvenire). Di fatto, è stato detto, non si nasce “naturalmente” liberi e uguali: questi sono gli obiettivi prefissati dalle varie Carte costituzionali e dichiarazioni dei diritti: capovolgendo un concetto molto noto, si potrebbe dire «la mia libertà comincia dove comincia la tua».