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Croci di vetta

«Al convegno – a cui hanno partecipato Monsignor Melchor José Sànchez de Toca y Alameda (relatore del Dicastero delle Cause dei Santi), lo scrittore Marco Albino Ferrari in rappresentanza del CAI e il professore di diritto dell’Università Cattolica Marco Valentini – si è registrato un punto di convergenza culturale, giuridico, storico e perfino religioso; una prospettiva che ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime.

Tesi, questa, condivisa pienamente dal Club Alpino Italiano.Il CAI guarda infatti con rispetto le croci esistenti, ma non solo: si preoccupa del loro stato ed eventualmente, in caso di necessità, si occupa della loro manutenzione (ripulendole dagli adesivi, restaurandole in caso di bruschi crolli, …). Questo perché – è giusto evidenziarlo una volta di più – rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino; un’impronta a cui guardare per abitare il presente con maggior consapevolezza.

Ed è proprio il presente, un presente caratterizzato da un dialogo interculturale che va ampliandosi e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali, a indurre il CAI a disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne». ( Lo scarpone 23.6.23 )

Così viene riassunto da ‘Lo Scarpone’ il dibattito che ha scatenato l’ennesima polemica sulle croci in vetta nel quale alcuni dei maggiori politici di governo hanno parlato di attacco alle radici cristiane del nostro paese. Da pastore valdese, cittadino italiano e alpinista mi vorrei limitare a due considerazioni e ad una proposta.

Mi pare infatti che la questione sia del tutto simile a quella,più volte affrontata, dei crocifissi nelle aule scolastiche e dei tribunali o nelle stanze degli ospedali pubblici. La fede, dovrebbero saperlo i difensori delle croci e delle madonne in vetta, non si impone, bensì è un dono, così come, semplificando un po’ è un dono che Dio ci fa quello di morire in croce e risorgere per la nostra salvezza. Questo, da credente, è uno dei motivi per cui mi infastidisce personalmente il trovare in cima alle montagne una croce, un crocifisso o una statua della madonna, spesso di proporzioni spropositate.

Imporre nello spazio pubblico, le vette sono terreno del demanio, un simbolo confessionale è in primo luogo un andare contro la predicazione di quello stesso Evangelo che si dice di volere predicare con quella croce. In secondo luogo da cittadino italiano continuo a ritenere che una confessione cristiana, per quanto largamente maggioritaria, non dovrebbe avere il potere in uno Stato laico e democratico di imporre un proprio simbolo religioso e confessionale infischiandosene dei cittadini non cattolici o diversamente cristiani a cui la croce dà fastidio o per i quali non rappresenta nulla. Compito dello Stato come sappiamo è garantire a ciascuna religione la libera espressione della propria fede, ma appunto nei propri spazi.

Le croci sulle vette diventato così in questo caso il simbolo di un malcostume culturale del nostro paese: la cultura che dice che esistono le leggi ma se sei più ricco e più forte puoi fare un po’ come ti pare fregandotene degli altri, soprattutto se sono minoranze.

La mia proposta per cercare di superare la polarità croce si o croce no è un tentativo di integrare canoni estetici e sostenibilità ecologica. Si tratta di riabilitare il vecchio “ometto” in pietra. Di solito realizzato con e le piccole pietre più o meno grandi sollevabili facilmente da una persona. È facile da costruire e da rimettere in piedi ogni anno dopo l’inverno, da parte di chi passa e ha voglia di dedicarci anche solo un minuto. Fatto di materiale locale a km O, non abbisogna di manutenzione, né di permessi perché è una struttura removibile. Non servono né cemento né cavi in acciaio per fissarlo e sopratutto non servono voli in elicottero per trasportare il materiale. Si risparmia così carburante e si afferma attraverso un simbolo, frutto della natura e dell’opera collettiva di manutenzione, il tentativo umano di prendersi cura del creato, lasciando meno tracce possibili del proprio passaggio pur volendo dare forma ad un qualcosa che segni il fatto che qualcuno di noi in quel luogo ci è stato.

L'”ometto” in pietra, antico segno per indicare la giusta strada nei sentieri di montagna di mezzo mondo, ben più della violenza di una croce, simbolo parziale, imposta di forza sul suolo pubblico delle montagne in sprezzo alla costituzione, può invece ben rappresentare la fragilità del nostro ecosistema da proteggere. Questo sì un mandato non solo cristiano ed inclusivo ma sicuramente più urgente per tutto il pianeta.