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Le tante criticità a cui deve rispondere la scuola

Recentemente l’organizzazione internazionale “Save the Children” ha pubblicato un rapporto preoccupante sul fenomeno della dispersione scolastica: l’Italia – con il tasso di uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione del 12,7% – si posizione al terzultimo posto. Il dato diventa ancora più problematico se si considerano le disuguaglianze territoriali del Paese, con particolare rifermento alla Sicilia, dove il tasso di abbandono degli studi (21,1%) è quasi il doppio rispetto alla media nazionale. Sull’argomento è intervenuta la dott.ssa Anna Ponente, direttrice del Centro diaconale La Noce di Palermo, che dalla sua fondazione ha dato priorità all’istruzione e alla formazione dei minori svantaggiati.

I dati recenti sulla dispersione scolastica denotano una situazione particolarmente grave per le Regioni del Sud e, in particolare, per la Sicilia e la Puglia. L’abbandono e la dispersione scolastica sono fenomeni osservati e analizzati quotidianamente all’interno dei differenti servizi educativi, scolastici, socio-sanitari del Centro diaconale La Noce di Palermo. Ricordiamo che, sin dalla sua fondazione, il Centro ha ritenuto fondamentale progettare e realizzare servizi per l’infanzia, l’adolescenza e la famiglia, ponendo sempre attenzione alla “prevenzione” quale principio prioritario per sostenere e facilitare il percorso evolutivo individuale, sociale di tutti e di tutte. Un concetto scomparso nelle programmazioni sociali e sostituito da tempo, ben oltre prima della pandemia, da quello di “emergenza”.

Il Servizio educativo domiciliare (Sed), accreditato dal Comune di Palermo all’interno dei Fondi Pon (Programma operativo nazionale) – Inclusione, segue da tanti anni un numero importante di famiglie e minori dai 6 ai 14 anni che frequentano le scuole pubbliche di tutti i quartieri della città ed è divenuto una sorta di laboratorio scientifico di pensiero e di riflessione sul tema specifico. Negli ultimi anni, abbiamo rilevato che tra i motivi prioritari della segnalazione da parte dei servizi sociali territoriali è presente insieme al “supporto scolastico” anche la richiesta di “potenziamento della relazione tra la famiglia e la scuola”. Questo aspetto potremmo immediatamente collegarlo e interpretarlo alla luce degli effetti catastrofici della pandemia sul piano delle relazioni ma non è sufficiente.

Possiamo intuire che non tutti gli effetti del Covid-19 sulla vita delle persone e delle famiglie si sono già manifestati (soprattutto psicologici) ma sicuramente gravi forme di indigenza e di fragilità sono già conclamate. La pandemia ha evidenziato ancora di più le profonde disuguaglianze sociali, ma ha posto all’attenzione anche altre criticità già note ma mai affrontate in modo adeguato politicamente: tra queste la disparità dei modelli di welfare tra le Regioni, le politiche sociali fortemente diseguali prive di connessioni tra generazioni, i territori, i diversi settori della Pubblica Amministrazione, tra Stato, Regioni ed enti locali, l’assenza di servizi per il sostegno alle donne che lavorano, la fragilità dei servizi di cure sul territorio, la precarietà lavorativa e le difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia.

Che relazione c’è tra questi fattori e la crescente distanza tra scuola e famiglia, e i dati allarmanti sulla dispersione? La scuola è un presidio territoriale unico, è una sorta di agenzia territoriale e sociale, che negli anni ha avuto la responsabilità di occuparsi di tante criticità, in assenza di altri servizi territoriali e di quartiere più prossimi alle persone. Di fronte alla crisi attuale che ha ripercussioni sulla vita concreta delle persone generando paura, fragilità, povertà, le distanze aumentano e le difficoltà diventano motivo di rabbia, di confitto non affrontato, di isolamento che investe tutte le figure professionali e istituzionali. La profonda crisi nel rapporto con l’istituzione investe tutti gli ambiti, anche la scuola.

La dispersione scolastica ha, oggi, più di prima la necessità di una lettura multifattoriale che richiede il superamento di vecchi modelli di lettura e di intervento e potrà essere affrontata seriamente e autenticamente solo attraverso un “modello politico sociale complessivo” che ritiene imprescindibile un impegno interistituzionale e trasversale. Un impegno che riguarda l’intero sistema familiare e che includa investimenti nell’ambito della formazione professionale per consentire veramente possibilità di cambiamento. Occorre nei prossimi anni ripensare alle politiche sociali in un’ottica di sistema superando la frammentazione e la fragilità delle organizzazioni, garantendo la sostenibilità nel tempo dei servizi sociali in presenza di una popolazione con un’evidente crescente fragilità, che riguarda in modo drammatico le fasce giovanili, quindi, le future generazioni.