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Esseri santi e sante nel mondo

Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo
Levitico 19, 2

Dobbiamo essere a lode della sua gloria; noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo
Efesini 1, 12


Nella nostra cultura diffusa c’è una parola allo stesso tempo chiarissima e molto confusa: “santo, santa”. È chiarissima perché per l’italiano, l’italiana media è “santo” chi è definito tale dalla chiesa cattolica (oppure da una fumosa tradizione alto medievale che ha cristianizzato divinità pagane): toponimi, sagre, giorni di festa sono inimmaginabili senza l’immancabile “san qualcosa, santa qualcuna”.

Allo stesso tempo però è anche incomprensibile, perché quando si entra nel dettaglio – cosa vuol dire essere santi, come si fa a diventarlo, tutto risulta più nebuloso. L’impressione è che i santi, nell’uso comune del termine, siano quei personaggi più o meno storici che risultano utili per propagandare una determinata sfumatura ideologica e che comunque hanno la possibilità di fruttare ingenti guadagni: possono essere vissuti un decennio fa o essere improbabili eroi alto-medievali che lottavano contro i draghi o venivano segati in piazza, ma veicolano sempre i valori (o i disvalori) di chi li ha cristallizzati nella spiritualità, proponendoli (o propinandoli) al popolo.

Per la Bibbia questa parola ha un significato completamente diverso: “santo” significa separato, e le parole di Levitico 19 sono la premessa a un lungo discorso etico, in cui Dio spiega ai suoi anche come si diventa santi – per così dire: vivendo nel mondo, perché questa è la nostra condizione, ma non rassegnandosi a quel che il mondo dice sia giusto o sbagliato. I santi non sono separati dagli altri esseri umani per fingere di vivere in una bolla di perfezione. Al contrario, per mostrare che una differenza può essere contagiosa in maniera benefica e positiva.