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Il Garante dei detenuti interviene sul 41-bis

Il Garante nazionale ha visitato nel corso del suo mandato, a più riprese, tutte le sezioni del regime speciale 41 bis e ne ha esaminato l’applicazione alla luce del perimetro delineato dalla Corte costituzionale e dei suoi interventi sulla norma.

Ne è emersa la necessità «di una riflessione integrale sulla legge. In particolare, sulla compatibilità di tale regime con il diritto alla finalità rieducativa della pena, di cui è titolare ogni persona detenuta in ragione della prescrizione obbligatoria che l’articolo 27 comma 3 della Costituzione detta allo Stato per ogni genere di pena: un parametro che ha costituto il cardine su cui si sono fondate tutte le sentenze della Corte costituzionale intervenute sulla norma».

È parte di questa riflessione «l’osservazione del rinnovo anche per decenni, a carico di singole persone, del regime speciale: le motivazioni delle proroghe dei decreti di applicazione del 41-bis fanno frequentemente riferimento al reato ‘iniziale’ per cui la persona è stata condannata e la persistente esistenza sul territorio dell’organizzazione criminale all’interno del quale il reato è stato realizzato. Due elementi che, a parere del Garante nazionale, disattendono le prescrizioni di attualizzazione delle particolari esigenze custodiali espresse costantemente dalla Corte costituzionale».

Da qui alcune riflessioni proposte dal Garante:

«se il rischio del mantenimento dei collegamenti con la criminalità organizzata di provenienza viene ritenuto sussistente anche a distanza di oltre 20 anni dalla prima applicazione, quando non dall’inizio della detenzione, il dubbio sull’efficacia del sistema preventivo risulta legittimo;
Il dubbio si estende conseguentemente all’effettiva finalità perseguita con la reiterazione del regime detentivo differenziato: se non è fondata sull’effettiva permanenza dei rischi di mantenimento dei collegamenti con l’associazione criminale, risulta diretta esclusivamente a imporre una forma afflittiva di detenzione;
la mancanza di verifiche effettive sulla permanenza attuale delle esigenze di prevenzione del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata rischia di configurare l’applicazione del regime come una misura esclusivamente afflittiva per determinate categorie di condannati».
Pertanto, il Garante nazionale ritiene che «il numero delle persone attualmente soggette al regime previsto dall’articolo 41-bis co.2 o.p. sia suscettibile di una profonda revisione».

Tale obiettivo, che «renderebbe anche equilibrio e verosimiglianza all’immagine complessiva del fenomeno della criminalità organizzata nel Paese, altrimenti rappresentata dalla presenza in carcere di oltre 700 soggetti apicali potenzialmente pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica, può essere perseguito senza pregiudicare le permanenti esigenze di particolare sicurezza attraverso una migliore configurazione delle sezioni del circuito dell’Alta sicurezza 1, che assicuri la separazione dagli altri circuiti detentivi».

Il Garante nazionale invita preliminarmente a riflettere sulla possibilità di un limite massimo di durata della misura, sul rischio della sovrapposizione di tale regime con altre forme di separazione.

Analoga riflessione «deve riguardare il mantenersi di un’ampia estensione numerica delle persone ristrette in tale regime negli ultimi dieci anni, che interroga indiscutibilmente sull’efficacia evolutiva di tale previsione normativa.»

Il Garante nazionale Raccomanda alle Autorità responsabili, tra l’altro:

«che non si protragga il regime speciale previsto dall’articolo 41-bis co. 2 o.p. fino al termine dell’esecuzione di una pena temporanea;
che siano abolite tutte le “aree riservate”;
che tutti gli ambienti siano scrupolosamente riconfigurati in modo tale da permettere un sufficiente passaggio di aria fresca e di luce naturale, a partire dalla rimozione delle schermature delle finestre, salvi i casi limitatissimi in cui siano indispensabili a impedire il contatto con altri detenuti o con personale esterno;
che siano ripensati e adeguati i cortili di passeggio in maniera da non incidere negativamente sulla capacità visiva e consentire effettivamente attività fisica e sportiva;
che sia avviato con urgenza un percorso di alfabetizzazione e istruzione di base per coloro che ne fanno richiesta
che siano adottati lettori di libri elettronici, in modalità ovviamente offline, in modo da consentire un maggiore accesso alla lettura e allo studio in condizioni di assoluta sicurezza;
che sia reso effettivo in tutti gli Istituti l’accesso all’acquisto o all’abbonamento a organi di stampa, salvo preclusioni che siano giustificate individualmente dall’eventuale rischio di possibile comunicazione con l’esterno; che sia emanata una nuova Circolare sulle modalità di attuazione del regime speciale con linee-guida generali che assicurino l’esclusione di misure restrittive non strettamente funzionali alla prevenzione dei collegamenti interni ed esterni con la criminalità organizzata;
che per ogni persona internata sottoposta alla misura della sicurezza della “Casa di lavoro” sia pianificato un progetto individuale nell’ambito del quale si inserisce il lavoro, nella prospettiva del rientro della persona stessa nella comunità sociale».

Infine, il Garante nazionale raccomanda nuovamente «di non definire mai il regime detentivo speciale quale «carcere duro» perché questo concetto implica in sé la possibilità che alla privazione della libertà – che è di per sé il contenuto della pena detentiva – possa essere aggiunto qualcos’altro a fini maggiormente punitivi o di deterrenza o di implicito incoraggiamento alla collaborazione. Fini che porrebbero l’istituto certamente al di fuori del perimetro costituzionale».

Al momento della redazione del Rapporto, le persone sottoposte al regime speciale ex articolo 41-bis co. 2 o.p sono 740, tra cui 12 donne, distribuite in 60 reparti all’interno di 12 Istituti. L’applicazione reiterata e continua del regime di detenzione speciale è il dato di fatto che connota più di ogni altro lo stato attuale dell’istituto previsto dall’articolo 41-bis co.2 o.p..
È un dato di fatto che risulta, innanzitutto, dalla sostanziale invariabilità del numero delle persone sottoposte al regime speciale nel corso dell’ultimo decennio, con una media di 731 persone detenute nel regime speciale e scarse variazioni tra il numero minimo di 699, registrato nel 2012, e le punte massime di 753 e 756, raggiunte rispettivamente nel 2019 e nel 2020.