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«Il nostro più grande tesoro»

Cresce in Italia il numero degli studiosi cattolici che leggono, studiano e – credo di poterlo dire senza eccedere in ottimismo – amano Lutero (non tutto, ovviamente, ma molto, e significativo), tanto che in qualche caso lo traducono nella nostra lingua, e lo pubblicano, evidentemente per farlo conoscere agli italiani che, tranne eccezioni, di Lutero sanno poco o nulla. Il caso più recente è quello di Antonio Sabetta, professore della Pontificia Università Lateranense, che nel 2019 aveva già tradotto e pubblicato, di Lutero, la grossa opera La Cena di Cristo. Confessione, quasi in contemporanea con la stessa opera, introdotta, tradotta e annotata, con in più l’originale tedesco a fronte, per la Collana «Opere scelte di M. Lutero» della Claudiana dal nostro pastore Winfrid Pfannkuche.

Quest’anno il prof. Sabetta ha dato alle stampe ben cinque testi relativamente brevi di Lutero sulla Cena del Signore, che vanno dal 1522 al 1544 (Lutero morirà nel 1546), a riprova del fatto che la Cena è un tema centrale nel pensiero e nella fede di Lutero, che lo ha accompagnato durante tutto l’arco della sua vita. Il bel titolo del libro è questa frase di Lutero: «Il nostro più grande tesoro»*. In realtà, il tesoro più grande, per Lutero, è l’Evangelo. Lo diceva già nelle 95 Tesi del 1917: «Il vero tesoro della Chiesa è il sacrosanto evangelo della gloria e della grazia di Dio» (Tesi 62). E ancora: «L’Evangelo, più della Cena e del Battesimo, è l’unico, certissimo e nobilissimo contrassegno della Chiesa […] In breve, tutta la vita e la sostanza della Chiesa sta nella parola di Dio».

Tre sono dunque per Lutero i tesori della fede e della Chiesa: l’Evangelo, la Cena e il Battesimo. Ma la frase secondo cui la Cena è «il nostro più grande tesoro» coglie effettivamente molto bene una delle principali passioni di Lutero, che fu questa: affermare con un’insistenza quasi ossessiva la realtà del dono che Cristo fa del suo corpo, cioè di se stesso nella Cena. Gesù è il tesoro più grande, e quindi il dono del suo corpo nella Cena mediante la Parola è «il nostro tesoro più grande». Come sappiamo, la teologia riformata, di matrice zwingliana, sostiene invece che il corpo di Cristo, “asceso” in cielo, è alla destra di Dio e tornerà alla fine dei tempi; perciò il pane della Cena è, sì, sacramento (cioè segno e strumento) del corpo di Cristo, ma non è il corpo1.

Per Lutero, invece, è il corpo: nella Cena, non c’è solo il pane, ma anche il corpo di Cristo, nel pane, con il pane, sotto il pane: nessuno sa come, né la fede lo vuole sapere, ma c’è. In che modo? Non con il mutamento della sostanza del pane in sostanza del corpo; la dottrina eucaristica di Lutero è tutt’altro che cripto-cattolica; non accade nessuna transustanziazione, che Lutero nega e combatte frontalmente: il corpo c’è, ma è suscitato dalla Parola che crea quello che dice: «Questo è il mio corpo». È lei l’artefice della presenza reale del corpo di Cristo nella Cena.

Lutero ha mantenuto l’affermazione della realtà di questa presenza con un rigore quasi implacabile. Il prof. Sabetta intende e definisce ripetutamente questa presenza reale come “fisica”, dato che tutto si gioca sul termine tedesco leiblich, che Lutero difese strenuamente e che in effetti significa “fisico”, “corporale”, “corporeo” e, come avverbio, “fisicamente”, “corporalmente”.

Capisco che sia proprio questa l’impressione che il linguaggio realistico di Lutero suscita in noi che lo leggiamo oggi. Mi chiedo però se “fisico” aiuti realmente a comprendere il pensiero di Lutero su questo punto nevralgico. La presenza di Cristo con il suo corpo nella Cena, indissolubilmente legata al pane, non è “fisica” come lo è il pane, e non può richiamarsi solo al Cristo incarnato, ignorando il Cristo risorto. Certo, è una presenza altrettanto reale quanto lo sarebbe la sua presenza fisica, ma non è, appunto, fisica, perché è il corpo di Cristo, ora, è il suo corpo risorto, che è oltre la fisicità come noi la conosciamo. Da qui nasce l’interrogativo che pongo anzitutto a me stesso, nel tentativo di capire che tipo di “realismo” sia quello che Lutero ha difeso e propugnato con tanto ardore, intransigenza e persino, talvolta, violenza, spesso denigrando gli avversari – in questo ampiamente ripagato.

Il volume che qui presentiamo e raccomandiamo, incorniciato da una prefazione del nostro Fulvio Ferrario e una postfazione di Giuseppe Lorizio, contiene i cinque testi di Lutero, tutti inediti in italiano, introdotti molto bene dal curatore, uno a uno (pp. 17-89). Solo conoscendo il contesto storico-teologico in cui i cinque scritti furono composti e i diversi destinatari cui erano destinati, è possibile capire a fondo il pensiero di Lutero sulla S. Cena, che qui emerge chiaramente anche grazie alla Introduzione, che il curatore conclude richiamando il nesso che Lutero istituiva volentieri tra «lo “scandalo” della presenza corporale» di Cristo nella Cena e «il paradosso e lo scandalo dell’incarnazione» (p. 89).

* M. Lutero, «Il nostro più grande tesoro». Scritti sul sacramento dell’altare, a cura di Antonio Sabetta. Prefazione di F. Ferrario. Postfazione di G. Lorizio. Roma, Edizioni Studium, 2023, pp. 327, euro 32,00.

1. Chi desidera farsi un’idea di prima mano della posizione (spesso fraintesa) di Zwingli sulla Cena, dispone della sua opera maggiore sull’argomento: U. Zwingli, Amica esegesi, a cura di Ermanno Genre, Torino, Claudiana, 2017.