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Israele e i matrimoni civili. Una sentenza che fa scuola

Nei giorni scorsi in Israele la Corte Suprema – primo bersaglio delle contestatissime modifiche volute dalla maggioranza del premier Netanyahu al fine di limitarne i poteri – ha emesso un significativo verdetto legato ai matrimoni. I giudici hanno infatti ordinato all’autorità competente di registrare ufficialmente – e quindi riconoscere – i matrimoni civili celebrati online da coppie che si trovavano in Israele. In un Paese in cui è possibile sposarsi solo secondo rito religioso, la decisione potrebbe aprire nuovi scenari.

A raccontare i particolari della svolta storica è il sito Moked delle Comunità ebraiche in Italia.

Il caso fa in particolare riferimento a centinaia di coppie israeliane che hanno usufruito, a partire dal 2020, di un servizio messo a disposizione dallo Stato americano dello Utah per sposarsi civilmente attraverso Zoom. La battaglia legale era stata avviata dopo che alcuni neosposi avevano provato a registrare i matrimoni presso l’Autorità per la popolazione e l’immigrazione del ministero degli Interni, allora guidato da Aryeh Deri. Quest’ultimo, intervenendo nella questione, ordinò di fermare tale iter. Provvedimento contro cui sono state presentate petizioni alle Corti distrettuali di Lod e di Gerusalemme. Entrambe avevano dato ragione ai ricorrenti, stabilendo il loro diritto a vedersi riconosciuti i matrimoni celebrati secondo le norme dello Utah. Ancora una volta il ministero degli Interni, nel frattempo passato ad Ayelet Shaked, aveva fatto appello. Questa volta alla Corte Suprema. E ora è arrivata la sentenza che mette un punto alla vicenda, ribadendo quanto stabilito dai tribunali inferiori.

Secondo la Corte Suprema, gli impiegati dell’Autorità per la popolazione e l’immigrazione non sono legalmente autorizzati a contestare la validità dei matrimoni dello Utah e a rifiutarne la registrazione. Il vice presidente della Corte Suprema, Uzi Vogelman, ha spiegato che il compito dell’Autorità per la popolazione non è quello di esaminare e decidere sulla validità di un certificato di matrimonio, ma piuttosto di registrare qualsiasi documento di matrimonio emesso da un impiegato autorizzato in un Paese terzo. Dunque se gli atti dei matrimoni celebrati online dallo Utah rispettano tutti i criteri, devono essere registrati. Secondo i dati di Hiddush, un’organizzazione che difende la libertà religiosa, la decisione della Corte Suprema, riporta il quotidiano Haaretz, «potrebbe aiutare fino a 700mila persone che attualmente non possono sposarsi in Israele perché il Paese non ha il matrimonio civile: finora queste coppie hanno dovuto recarsi all’estero per sposarsi».

I matrimoni in Israele sono regolati da norme ereditate dai tempi dell’impero ottomano e del mandato britannico, leggi che sanciscono che lo Stato deve garantire a ciascuna comunità religiosa competenza esclusiva in alcune questioni, tra cui i matrimoni. Pertanto per sposarsi in Israele bisogna passare attraverso le istituzioni religiose (ebraiche, cristiane, druse o musulmane che siano). Per gli ebrei, dal Rabbinato centrale, che, come è noto, è ortodosso.

Gli altri casi non sono riconosciuti. Già a partire però dal 1960 la Corte Suprema ha stabilito che le unioni registrate in un Paese estero abbiano valore anche nel Paese di origine. Molte coppie, soprattutto quelle interconfessionali, hanno dunque aggirato le restrizioni andando a sposarsi fuori da Israele, solitamente nella vicina Cipro. Ora con “l’opzione Utah” potrebbe non essere più necessario viaggiare. «D’ora in poi nessuno dovrà più recarsi all’estero per sposarsi se non vuole farlo tramite il Gran Rabbinato o altre autorità religiose», ha dichiarato l’avvocato Vlad Finkelstein, che ha difeso alcune delle coppie in tribunale. «È un’ottima soluzione per tutti coloro che non possono sposarsi qui in Israele. Ora possono farlo ovunque vogliano e non devono viaggiare all’estero».